3° CAPITOLO: “DECISIONE DIFFICILE”
POV RAF
Si udì un boato tremendo e all’improvviso la terra cominciò a tremare, ma non in maniera normale, in un modo talmente ritmico che sembrava voluto e non casuale. Poi, con uno schianto terribile un enorme crepa si aprì nel muro dell’aula sfida, anche se da dentro sembrò che si squarciasse un pezzo di cielo, e migliaia di pherox inferociti si riversarono famelici nello spiazzo. Nel cielo invece, delle enormi aquile di ferro, esattamente come quelle che avevano attaccato le mie amiche durante la trappola del labirinto del Minotauro, si libravano nel cielo che si andava scurendo.
A cavalcioni di una di loro, con in mano la sfera nera, Reina ci fissava con un espressione di odio negli occhi, i capelli blu mossi dal vento che lei stessa aveva creato.
Il cielo limpido si oscurò di colpo, come se la natura avesse sentito l’avvicinarsi della presenza maligna, e lampi e tuoni lo squarciarono.
I devil, che si trovavano proprio di fianco all’enorme spaccatura, si ritirarono velocemente alla vista dei pherox che si avvicinavano pericolosamente a loro, andandosi a mischiare a noi angel che esattamente come loro cercavamo di arretrare il più in fretta possibile.
Molti cercarono di alzarsi in volo, ma non ci riuscirono a causa delle lame letali delle aquile che non gli permettevano di librarsi, altri invece cercarono di scappare verso il fondo dell’aula sfida il più in fretta possibile, tutti con urla di sorpresa e terrore. Notai con orrore che Sulfus e gli altri erano proprio sulla linea di fuoco dei pherox.
Una risata malefica si riversò fuori dalle labbra di Reina, mentre guardava gli angel e i devil che cercavano di uscire dall’aula sfida senza successo. Evidentemente aveva fatto un incantesimo per impedirci di scappare. Voleva ucciderci tutti.
«è arrivato lo scontro finale, sempiterni», ghignò malefica, con un espressione di odio negli occhi, «finalmente, dopo tutto quello che mi avete fatto, quello a cui mi avete costretta, avrò la mia vendetta, per me e per il mio Malachia, che voi avete ucciso senza nessuna pietà».
Sussultammo a quelle parole. Due mesi fa Malachia, su ordine di Reina, ci aveva attaccato utilizzando i poteri della sfera nera. Noi ci eravamo difesi ma, soprattutto dopo aver sentito la sua storia, avevamo cercato di non fargli del male, consapevoli del fatto che era costretto a quella vita perché privato della sua volontà; ma non era servito a niente. Aveva usato il potere della sfera nera su se stesso, come aveva già fatto una volta, ma a differenza della precedente, il potere della sfera l’aveva ucciso, una volta che noi lo avevamo liberato dal suo influsso. Si era dissolto senza che noi avessimo potuto fare niente. Ovviamente Reina non aveva voluto sentire spiegazioni e ci aveva incolpati di tutto, perché nonostante tutto, lei era ancora innamorata di Malachia, anche se non faceva niente per dimostrarlo.
Da quel giorno la sua sete di vendetta e la sua rabbia erano aumentate a dismisura. Ci aveva lasciato quella volta con una terribile promessa. «ora il mio odio e la mia rabbia sono ancora più potenti; non vi sarà scampo per voi, distruggerò tutto ciò che troverò sul mio cammino verso la vendetta, che siano angel, devil o terreni. Perciò state attenti, perché la vendetta di Reina calerà violenta e terribile come mai prima d’ora e voi non potrete fare niente per impedirla!».
Con una risata a dir poco spaventosa e una violenta esplosione di luce viola, si era dissolta nel nulla.
La sua promessa di vendetta ci aveva a dir poco terrorizzato. Sapevamo che Reina sapeva essere terribile se voleva perciò nella prima settimana, tesi come non mai, avevamo fatto attenzione a ogni piccolo spostamento, a ogni piccola cosa fuori posto, vedendo dappertutto pericoli e trappole. Ma, più il tempo passava, più ci tranquillizzavamo perché nonostante fossero passati quasi due mesi, di tentati attacchi di Reina non ce n’era stato neanche l’ombra. Ci eravamo illusi che finalmente avesse rinunciato a tutti i suoi propositi di vendetta, che finalmente avesse deciso di lasciarci in pace; evidentemente ci sbagliavamo. Aveva solo aspettato il momento propizio, radunando le sue forze per sferrare l’attacco finale, quello che secondo lei ci avrebbe completamente distrutto. E aveva scelto di agire, con una certa dose di cattiveria e perfidia, nel giorno dei diplomi, per rovinare uno dei momenti più belli della vita di noi sempiterni sia che fossero angel, che fossero devil.
In quel momento, ferita da tale consapevolezza, unita al fatto che eravamo tutti in pericolo di vita, specialmente Sulfus, la odiai; in quel momento capii cosa volesse dire odiare davvero, era talmente forte che mi sentii in bocca il sapore di bile.
Guardai verso Reina, mentre la mia rabbia si trasformava in determinazione; l’avrei sconfitta una volta per tutte, avrei liberato il mondo dal suo luridume. Io e Sulfus insieme l’avevamo già sconfitta, l’avremmo fatto di nuovo.
«raggiungiamo i devil», dissi concitata alle mie amiche, «se uniamo i nostri poteri potremo sconfiggerla».
Le mie amiche annuirono. Ci stavamo per avviare quando, con un movimento improvviso della sfera nera e un ghigno malefico sul volto, Reina fece scaturire delle fiamme che incendiarono in poco tempo tutto il parco che, essendo composto da vegetali, si ridusse in poco tempo a un’unica distesa di fiamme.
Le alte lingue di fuoco si erano propagate in modo strano, non casuale, quasi a voler delineare un percorso ben definito. Attraverso le fiamme vedemmo gruppi, anche misti, di angel e devil che cercavano di combattere sia i pherox che le aquile. Se però contro i pherox potevamo poco, perché ai nostri poteri erano immuni, le aquile potevamo sconfiggerle, come le mie amiche avevano già una volta dimostrato.
«attente!!!», urlò Arkhan dal palco, che stava rapidamente andando a fuoco. Noi ci voltammo, le fiamme ci avevano isolate dal resto del gruppo, e vedemmo uno degli alberi del parco che, corroso dalle lingue fuoco, ci stava per cadere addosso. Purtroppo le fiamme ci impedivano di scappare, perciò dovevamo fare subito qualcosa se non volevamo diventare peggio di alcuni paté che avevo visto mangiare a volte ai terreni.
Mi parai davanti a loro e urlai «rock fly!». Subito fummo avvolte da una spessa corazza di protezione. Speravo che funzionasse, non avevo mai protetto più di due persone contando me. Ora eravamo in quattro.
Non feci in tempo a pensare queste cose che l’albero si abbatté su di noi con violenza. La protezione resse, ma per miracolo. Rilasciai il potere e mi accasciai a terra per lo sforzo. Le mie amiche mi si fecero subito vicino e mi aiutarono a rialzarmi.
Le fiamme ci avevano circondato e se volevamo cercare di raggiungere Sulfus e gli altri dovevamo trovare il modo di eluderle. Ci liberammo delle toghe. Se volevamo combattere avevamo bisogno di agilità e quelle toghe non erano certo l’ideale.
«mi è venuta un’idea», disse Uriè che si piazzò davanti al muro di fiamme attraverso il quale l’ultima volta avevamo visto i devil. «meteo fly!», urlò e subito un potente acquazzone si riversò sul fuoco per spegnerlo. Ma non funzionò. Per quanta acqua ci piovesse sopra, le fiamme non si spegnevano.
Uriè interruppe il flusso d’acqua frustrata. «evidentemente sono fiamme magiche che non possono essere spente», disse alquanto arrabbiata.
«ma forse congelate sì», disse Miki scansando Uriè, «Ice!» e il ghiaccio si riversò fuori dalle sue mani. Ma anche questa volta non funzionò. Le fiamme, troppo roventi, scioglievano subito il ghiaccio che Miki ci depositava sopra.
«oh accidenti! Non funziona neanche questo!», urlò Miki esasperata.
Non sapevamo più che fare, avevamo esaurito le idee per spegnere il fuoco, sul quale i nostri poteri sembravano risultare totalmente inefficaci. Poi però, mi balenò in mente un’idea; forse avevamo affrontato il problema in modo sbagliato. Forse non dovevamo spegnere le fiamme ma solo controllarle; e guarda caso, il mio inflame mi consentiva di controllare e usare il fuoco a mio piacimento.
Ero sul punto di usarlo quando mi bloccai. Ne io ne Sulfus avevamo mai detto a professori e amici che avevamo acquisito i nostri poteri strani. Di comune d’accordo, durante il procedimento disciplinare, avevamo deciso di non dire niente delle nostre nuove abilità per evitare che ciò aggravasse la nostra posizione. Infatti eravamo stati molto attenti a non usarli mai in loro presenza.
Ma adesso eravamo in pericolo di vita, non contava più cosa era pericoloso e cosa no. Chissà come avrebbero reagito al mio potere da devil, pensai sarcastica. Speravo che funzionasse e che la mia intuizione fosse giusta.
«indietro ragazze», le dissi con voce determinata, «mi è venuta un’idea… Inflame!» e dalle mie mani uscirono due lingue di fuoco blu che si fusero con le fiamme rosse per poi allargarsi e aprire un varco sufficiente a farci passare. Fortunatamente nello spiazzo successivo non si vedeva traccia di pherox o aquile di ferro. Ma sentivo comunque i suoni delle battaglie che sia angel che devil avevano ingaggiato per distruggere i nemici.
Evvai!!! Esultai mentalmente. La mia idea aveva funzionato.
Mi voltai verso le mie amiche con un sorriso a trentadue denti ma, non appena vidi le loro facce, il sorriso mi morì in gola. Erano stupite e inorridite da ciò che avevo appena fatto. Più inorridite che stupite.
Sospirai e mi preparai a sorbirmi tutte le loro lamentele e critiche. La prima a riprendersi fu Miki, che era sempre stata la più pratica delle tre.
«Raf! Ma quello è un potere da devil! Come fai tu che sei un angel ad averlo?», mi chiese con gli occhi fuori dalle orbite. Dolce e Uriè annuirono di rimando.
«beh è una storia un po’ lunga e non mi pare questo il momento di raccontarvela… prometto che una volta fuori da questo inferno vi racconterò tutto ma adesso sbrighiamoci prima che il mio potere svanisca».
Le altre annuirono e ci affrettammo a passare attraverso il varco che si richiuse non appena fummo passate. Non facemmo in tempo a fare neanche un passo che un terribile stridio proveniente dal cielo ci fece alzare inorridite lo sguardo. Tre enormi aquile si dirigevano verso di noi con gli artigli protesi. Dovevamo contrattaccare, era anche la nostra unica possibilità per alzarci in volo e raggiungere più velocemente Sulfus e gli altri.
Ma non c’era più tempo per reagire: le aquile erano troppo veloci, i loro artigli troppo lunghi e noi troppo spaventate per poter tentare un’offensiva di alcun tipo. D’altronde, se non appena ti volti ti vedi degli enormi mostri a un palmo dal naso non puoi fare alcunché.
Urlammo e ci mettemmo le mani davanti, per cercare di ammortizzare lo scontro che sarebbe sicuramente arrivato. Però, fu proprio quando tutto era perduto che Dolce prese l’iniziativa e agì d’istinto, per salvare se stessa e noi, le sue amiche.
Si parò davanti a noi e, battendo forte le mani verso le aquile, urlò «Wave!» e una potentissima onda d’urto si riversò fuori dalle sue mani per abbattersi sulle aquile, disintegrandole.
Noi guardammo stupite Dolce, che sembrava più sbigottita di noi.
«e da quando puoi generare onde d’urto?», gli chiesi stupita Uriè.
«veramente non sapevo nemmeno io di poterlo fare!», esclamò sbigottita Dolce, «anche se questo potere è figosissimo!!!» disse eccitata.
Noi scoppiammo a ridere per un momento ma poi ritornammo subito serie. Poi mi venne in mente una cosa che mi chiarì tutto sulla natura del nuovo potere di Dolce.
«ma certo!», esclamai facendole sobbalzare. Mi guardarono confuse. «non vi ricordate cosa aveva detto Arkhan all’inizio del torneo di luce e ombra?». Loro fecero delle smorfie, in fondo era stata in quell’occasione che io e Sulfus avevamo infranto definitivamente il VETO. Scacciai il pensiero dalla mia mente e continuai la mia spiegazione. «ci aveva detto che avremmo acquisito dei nuovi poteri e così è stato per tutti tranne che per Dolce. All’inizio lei ci era rimasta male ma alla fine avevamo concluso che, evidentemente, lei non aveva dei nuovi poteri da scoprire. Ci sbagliavamo. Lei aveva i suoi poteri, ma non era il momento giusto per usarli; ora invece, sentendo la situazione di pericolo si sono risvegliati!», conclusi sorridente guardando Dolce, che mi fissava, come le altre del resto, a occhi sgranati.
Poi Dolce emise un urlo e cominciò a svolazzare per tutto lo spiazzo, felice come non mai di avere finalmente anche lei il suo nuovo potere. Anche noi scoppiammo a ridere ma le nostre risate furono interrotte da un boato spaventoso che ci fece rinsavire; ci ricordammo che intorno a noi infuriava la battaglia perciò rapide ci alzammo in volo approfittando del fatto che il cielo era libero dalle aquile.
Lo spettacolo che si presentò ai nostri occhi era allo stesso tempo incredibile e terrificante: il parco era un’unica landa di fuoco e gli angel e i devil cercavano contemporaneamente di combattere i pherox e le aquile e di raggiungere l’unica via di fuga rimasta, lo squarcio aperto da Reina per entrare in aula sfida. Ma lei lo presidiava e chiunque le si avvicinava per provare a uscire veniva colpito dalla sfera nera con una violentissima scarica elettrica che lo faceva volare stordito e dolorante a svariati metri di distanza. Evidentemente voleva lasciare il lavoro sporco alle sue care creature.
Cercammo con lo sguardo Sulfus e gli altri; li trovammo in uno spiazzo non distante da noi che cercavano di combattere un’orda di pherox che li incalzava. Si vedeva che erano in difficoltà, dopotutto i pherox erano immuni ai nostri poteri.
Stavamo per andare ad aiutarli quando inorridimmo. Quattro aquile spaventose, approfittando del fatto che Sulfus e gli altri erano impegnati contro i pherox, si stavano lanciando su di loro da dietro per colpirli alle spalle. Non si erano accorti di nulla.
«NO!», urlai in preda al panico, non solo per Sulfus, ma anche per gli altri devil, che ormai consideravo degli amici, «presto ragazze andiamo!», urlai rivolta alle altre che annuirono. Anche loro si erano affezionate ai devil.
Ci buttammo verso di loro, volando veloci come non mai, e ci parammo davanti a loro per proteggerli dalle aquile che, con gli artigli protesi, ormai li avevano quasi ghermiti.
Miki si parò davanti a Gas e urlò «Wall Fly!». Tutto sommato, avevano finito per affezionarsi l’una all’altro. Un muro solido e resistente si parò davanti a lei e a Gas, e l’aquila ci si schiantò proprio sopra, sbriciolandosi.
Dolce si parò davanti a Cabiria, con la quale aveva stretto una forte amicizia, soprattutto per quanto riguardava la moda, e utilizzò ancora una volta il suo nuovo potere. «Wave!», urlò e dalle sue mani si riversò una seconda onda d’urto che polverizzò l’aquila.
Uriè si parò davanti a Kabalè con decisione, era molto affezionata alla devil, avevano scoperto di avere molte cose in comune. «Meteo Fly!», e un fulmine potente si schiantò dal cielo sull’aquila, che fece la stessa fine delle precedenti.
Io infine mi parai davanti a Sulfus. Non gli avrei permesso di toccarlo con un solo artiglio. «Inflame!» e scatenai il potere delle mie fiamme in tutta la loro potenza. Una potentissima bomba di fuoco di riversò dalle mie mani per schiantarsi sull’aquila, che svanì in uno sbuffo di fumo.
I quattro devil ci guardarono stupiti e ci sorrisero riconoscenti; Sulfus accompagnò al suo sorriso una dolce carezza che mi fece vibrare nell’animo. Poi un ringhio ci fece riportare alla realtà e noi angel e devil facemmo fronte compatto contro l’orda di pherox che si avvicinava, mentre intorno e sopra di noi i boati della battaglia infuriavano inesorabili.
Provammo ad utilizzare i nostri poteri ma fu inutile; contro i pherox non servivano a niente. Ormai avevamo esaurito le idee quando con uno svolazzo il professor Arkhan e la professoressa Temptel ci raggiunsero sullo spiazzo con la sfera bianca, l’unica cosa in grado di uccidere i pherox. Arkhan scagliò un raggio che eliminò i pherox.
Si voltarono verso di noi. «dobbiamo riuscire ad uscire dall’aula sfida», disse Arkhan, «ma sia Reina che le sue creature presidiano il varco. Dobbiamo trovare il modo di distrarli per poter scappare».
«ma non possiamo farcela! I poteri della sfera nera sono troppo forti e comunque i pherox sono troppo numerosi per essere contrastati», ribattè la Temptel scettica, che in quanto devil, era molto realistica.
«beh forse contrastati no, ma distratti si prof», disse una voce suadente che, mio malgrado, conoscevo. Ci voltammo simultaneamente verso la voce e realizzai che non mi ero sbagliata. Misha, la vecchia guardian devil di Sulfus atterrò nello spiazzo, un po’ di fuliggine sparsa sul capo. Ma ciò che ci sorprese fu che non era sola; al suo fianco c’era Gabi, il mio vecchio guardian angel. «Gabi! Misha!», esclamammo in coro.
«ma che ci fate qui? Non ve ne eravate andati?», chiese Sulfus, aggiungendo un’occhiataccia a carico di Gabi. Era sempre stato molto geloso di lui; quando lo vedeva insieme a me ci mancava poco che si scatenasse il finimondo. Ridacchiai ai miei pensieri.
«beh siamo venuti qui per vedere la premiazione. Dopotutto è un evento importante non potevamo mancare», disse Misha. Forse era solo una mia impressione ma mi sembrava che avesse lanciato un’occhiatina a Sulfus. Come si permetteva?! La gelosia dilagò in me e le scoccai un’occhiata assassina. Oh insomma avevo preso in giro tanto Sulfus e poi guarda come finivo io!
«comunque, ritornando al discorso dei pherox, grazie al mio potere potrò distrarli abbastanza a lungo per potervi dare libero accesso a Reina. Ma poi dovrete essere voi a sconfiggerla», disse lei.
«io andrò con lei, così potremo usare la sfera bianca per bloccare i pherox», aggiunse Gabi. «anche se non credo che ce la faremo», aggiunse sconsolato.
«e perché mai Gabi?», chiese Arkhan.
«quando ci avete raccontato di Reina, ho fatto delle ricerche sui neutri nella grande biblioteca universale e ho scoperto che l’unico modo per uccidere una neutra è quello di unire due poteri di un angel e un devil che scatenino lo stesso effetto. Solo così una neutra potrà essere eliminata. Ma come sappiamo questo è impossibile, un angel non può avere potere da devil e viceversa», concluse lui con aria sconsolata.
I professori scossero la testa, anche loro abbattuti, ma noi ci guardammo pieni di speranza; un potere che un angel e un devil condividevano. Guarda caso io e Sulfus avevamo in comune il potere del fuoco e si sa, l’unione fa la forza.
I nostri otto visi si aprirono in sorrisi felici e determinati. Sapevamo cosa dovevamo fare, perciò ci voltammo verso i professori. Ora cosa era giusto e sbagliato non contava più, saremmo venuti allo scoperto.
«mi dispiace contraddirti meringa alata» disse Sulfus, mentre insieme ridevamo, «ma sull’ultima parte ti sbagli», ghignò poi rivolgendosi a me.
«già hai proprio ragione», ribattei io con un sorriso furbo sul volto.
I professori, Gabi e Misha ci guardavano stupiti, mentre i nostri amici, che avevano già capito cosa volevamo fare, ci sorridevano.
Ignorando i professori io e Sulfus attivammo contemporaneamente i nostri poteri. «Fire fly!», urlò lui. «Inflame!» urlai io; e per un secondo il mio fuoco azzurro e il suo fuoco rosso si fusero in un’unica spirale di fiamme.
Dire che i professori avevano gli occhi fuori dalle orbite era un eufemismo. «m-ma Raf», balbettò Arkhan visibilmente sconvolto, «il fuoco è un potere da devil non dovresti averlo tu, che sei una angel!», esclamò pallido in viso.
«infatti non sappiamo come io faccia ad averlo, però l’ho ottenuto. Questo vuol dire che io e Sulfus abbiamo le caratteristiche per uccidere la neutra», conclusi con tono feroce. Odiavo Reina con tutta me stessa.
«allora facciamo così», disse la Temptel, «io, Arkhan, Misha e Gabi, distrarremo i pherox e le aquile così voi potrete avere libero accesso a Reina».
«ma non possiamo lasciarli da soli a combattere!», urlò Arkhan preoccupato per noi.
«è l’unico modo per salvarci tutti. Misha e Gabi da soli non potranno tenerli a bada tutti e comunque ci sono almeno duecento sempiterni che stanno combattendo in questa piana e se abbiamo una sola possibilità di sconfiggere Reina non dobbiamo sprecarla, almeno per salvare la vita di tutti loro», ribattè la Temptel.
Arkhan capitolò. La sua logica era inoppugnabile. «però dovete fare in fretta. Non li terremo a bada per molto e si dissolveranno del tutto solo quando Reina morirà anche le creature svaniranno», ci disse Arkhan.
A quelle parole sudai freddo. La vita di tutte le persone presenti in aula sfida dipendeva da me e Sulfus; era una responsabilità schiacciante. Poi sentii la sua mano prendere per un momento la mia e infondermi forza e coraggio. I suoi occhi esprimevano fiducia e determinazione, al che anche io mi calmai.
«andiamo!», disse Misha e tutti e quattro si librarono in volo. «Aromatic fly!» urlò Misha. A quelle parole, un dolce profumo si sparse per tutta la radura e sia le aquile che i pherox ne furono attratti, lasciando liberi di allontanarsi coloro che avevano preso sotto tiro.
«presto muoviamoci», urlò Sulfus e tutti e otto ci alzammo rapidissimi in volo dirigendoci verso Reina, che aveva il volto trasfigurato dalla rabbia per il fatto che le sue adorate creature erano state deviate. Ora era senza difese, aveva in mano solo la sfera nera, che l’avvolgeva in un campo di forza protettivo.
Arrivammo davanti a lei, circospetti perché sapevamo che comunque il potere della sfera nera era notevole. «arrenditi Reina, ritira le tue truppe e non ti sarà fatto alcun male!», le urlai. Essendo un angel non ero propensa alla violenza e, nonostante tutto, avrei preferito una soluzione pacifica della cosa.
«certo che sei proprio stupida, mia cara angel», ghignò sadica Reina e subito dalla sfera nera fuoriuscirono dei lampi che cercarono di colpirci. Noi ci sparpagliammo per evitare di venire colpiti e subito si levò un urlo. «Raf! Sulfus! Ora!», esclamarono Kabalè e Uriè in coro.
Noi ci guardammo e annuimmo. Non sapevamo come avremmo potuto fare per poter unire i nostri poteri, perciò provammo prima nella solita maniera, scagliando una palla di fuoco insieme su di lei. Ma non funzionò; oltre al fatto che i poteri non si unirono, ma si schiantarono separatamente sulla barriera innalzata dalla neutra, la barriera non mostrò segni di cedimento alla nostra offensiva.
«accidenti non funziona! La barriera, unita ai poteri Reina è troppo forte!», urlai esasperata. Maledizione ma non c’era modo di sconfiggerla?
Poi mi venne in mente un’idea. «Think fly!», urlai e mi collegai mentalmente con tutti quanti, ovviamente escludendo Reina. Lei non doveva sentire cosa ci dicevamo.
«ragazzi mi sentite?», pensai.
Sette risposte affermative mi rimbombarono nella testa. «bene. Sentite ho un piano. Gas il tuo potere ti permette di attirare oggetti metallici no?», chiesi, rivolgendomi direttamente a lui, anche se tutti potevano ascoltare la nostra conversazione.
«si ma perché? Come potrebbe esserci utile?», mi chiese lui, che da solito tontolone non aveva ancora capito dove volevo andare a parare.
«perché il sostegno che riveste la sfera nera è fatto di metallo. Se tu riuscissi col tuo potere a sottrarglielo…», non riuscii a finire.
«Reina rimarrebbe senza difese!», esclamò Sulfus mentalmente, «geniale Raf!». Altri risposte affermative mi raggiunsero.
«bene allora ci provo», disse Gas, fissando determinato la neutra. «Magnetic force!», urlò e spedì il raggio verso la sfera nera. All’inizio sembrò non voler cedere e Gas aumentò il flusso. Poi vedemmo Reina digrignare i denti dalla rabbia e stringere più forte lo scettro tra le mani, mentre quello cominciava a tremare. Gas aumentò ulteriormente il flusso di potere e lo scettro, dopo una momentanea resistenza, sfuggì dalle mani di Reina per atterrare in quelle di Gas, che con un ghignò di trionfo ci mostrò la sfera nera.
«bravo Gas!», urlammo tutti in coro. Ora Reina era indifesa.
Ora toccava a me e a Sulfus. Dovevamo fare in fretta, non sapevo quanto ancora gli altri avrebbero potuto resistere contro i pherox. Ci parammo davanti a lei; non sapevamo che fare, prima i nostri poteri non si erano uniti.
Poi successe qualcosa. Come se in noi fosse scattato qualcosa che ci aveva rivelato cosa fare, capimmo la procedura da seguire per poter unire i nostri poteri. Ci prendemmo per mano e chiudemmo gli occhi, concentrandoci solo su di noi, per sentire i nostri poteri diversi ma allo stesso tempo gemelli, per sentire le nostre dita intrecciate e per avvertire le nostre menti fondersi insieme.
Aprimmo gli occhi e attivammo i nostri poteri contemporaneamente, le mani rivolte verso le fiamme che dilagavano nello spiazzo sotto di noi. «Inflame!», urlai io, «Fire fly!», urlò lui. E successe una cosa che nessuno si aspettava. I nostri poteri risucchiarono le fiamme dal parco, lasciandolo carbonizzato, mentre le lingue di fuoco si riversavano nelle nostre mani, per darci forza e aumentare il nostro potere. E più risucchiavamo le fiamme, più ci sentivamo potenti. Stringemmo con più forza le nostre mani e puntammo le altre verso il cielo. «vortice!», urlammo in sincrono e dalle nostri mani si riversò un vortice di fuoco che salì verso il cielo formando qualcosa di maestoso; le fiamme si modellarono, si restrinsero in alcuni punti e si allungarono in altre e quello che si parò davanti a nostri occhi, fu una magnifica fenice di fiamme rosse screziate di azzurro nelle lunghe piume di fuoco. Era uno spettacolo da mozzare il fiato.
Ci rendemmo subito conto che, tenendoci per mano, potevamo controllare la fenice e contemporaneamente pensare come una persona sola. E in questo momento il nostro obiettivo era uno solo: uccidere Reina.
A questo pensiero la fenice emise un lungo verso dalla gola e si lanciò su di lei, che era rimasta pietrificata dalla paura quando aveva visto che cosa volevamo fare, e la avvolse completamente nelle lingue di fuoco. Si udì un solo straziante urlo inumano prima che la fenice distruggesse Reina e scomparisse.
Ma prima sentii nella mia testa ciò che poi avrebbe influenzato tutto il corso degli eventi futuri. «credi di avermi sconfitto mia cara angel? Beh ti sbagli di grosso, io non son affatto morta e, anzi, ritornerò un giorno, proprio grazie a te, che sei stata la causa della mia morte, e lo farò torturando le persone a cui vuoi bene, facendoti soffrire tanto quanto tu hai fatto soffrire me. Non ci sarà scampo per te dalla furia di Reina, io ritornerò e allora rimpiangerai quello che mi hai fatto! ahahahah». La risata malefica e agghiacciante si dissolse nella mia mente, e contemporaneamente la fenice sparì in uno sbuffo di fumo, segno che aveva finito il suo compito. Di Reina non vi era traccia, ma sapevo che non era affatto finita come tutti credevano, perché avevo sentito la voce nella mia testa. Non sapevo come fosse possibile che Reina fosse sopravvissuta, ma quello che avevo sentito era inequivocabile. Non sarebbe mai finita.
Urla di giubilio e felicità esplosero intorno a noi, mentre l’aula sfida finalmente, libera dal sortilegio di Reina, ritornava alla sua forma originale. Ma io quasi non me ne accorsi; ero troppo spaventata da quello che avevo sentito, da quello che sarebbe potuto succedere a causa mia a tutti quanti.
Mi riscossi all’improvviso solo quando Sulfus, in preda all’euforia, mi strinse fra le braccia e mi fece ruotare sollevandomi da terra come se fossi su una giostra. Al che, non potei trattenermi dal ridere come una pazza, anch’io contagiata per un secondo dalla felicità momentanea.
Lui mi rimise giù. Stava quasi per baciarmi ma io lo fermai. Mi sarebbe piaciuto ma non potevamo. «Sulfus, ci vedono», gli bisbigliai.
Lui triste annuì e rinunciò ai suoi propositi. Poi fummo assaliti da Uriè, Dolce, Miki, Kabalè, Cabiria e Gas che ci saltarono praticamente addosso per congratularsi con noi. In fondo, almeno per quello che sapevano loro, avevamo appena salvato il mondo dei sempiterni.
Mentre intorno a noi i festeggiamenti continuavano, Arkhan, la Temptel, Gabi e Misha, facendosi spazio fra i sempiterni, ci raggiunsero, chiedendo subito un resoconto dettagliato su quanto era accaduto. Sulfus e gli altri non si fecero pregare e cominciarono subito a raccontare per filo e per segno quanto era accaduto. Io mi limitai ad ascoltarli, fissando ognuno dei loro volti escluso uno. Poi da loro passai a tutti quelli di angel e devil sparsi nella sala che esultavano per la vittoria, senza essere consapevoli del fatto che non erano ancora al sicuro e che la minaccia, indirettamente, ero io.
Poi mi voltai verso di lui, verso il ragazzo che occupava la mia mente e il mio cuore e che amavo con tutta me stessa. E guardando lui capii cosa dovevo fare; lo amavo troppo per metterlo in pericolo e, comunque, non avrei potuto sopportare di mettere uno qualsiasi dei miei amici in pericolo, sia che fosse angel, sia che fosse devil.
La consapevolezza mi scavò un solco nel cuore e una lacrima, una sola, mi scivolò sul viso, prima che la pulissi con la mano.
Alzai lo sguardo e notai che Sulfus mi guardava. Io gli sorrisi cercando di essere il più sincera possibile, anche se in realtà mi sentivo morire dentro; per attuare il mio piano non dovevo destare sospetti. Guardandolo negli occhi seppi che la mia decisione lo avrebbe fatto soffrire moltissimo, e non solo lui, ma tutti coloro che mi volevano bene. Mi avrebbero odiato ma, per proteggerli, non c’erano alternative.
Sulfus potrai mai perdonarmi?, pensai.
POV SULFUS
Mi allontanai con Kabalè verso l’incubatorio. Vi arrivammo senza difficoltà e entrammo nella mia stanza, dove trovammo Gas, Cabiria e la mia copia ad aspettarci.
«Sulfus sei tornato!», urlò correndo ad abbracciarmi, mentre la mia copia svaniva.
«Cabiria!», sbuffai infastidito mentre la scansavo; non mi piacevano le dimostrazioni d’affetto, ovviamente se non comprendevano Raf. In quel caso mi ci prestavo molto volentieri. I miei pensieri presero direzioni ben poco caste; in quanto devil non me ne vergognai, ma dubitavo che il mio angelo li avrebbe apprezzati.
«allora Sulfus», esordì Gas con un sorrisetto strano, «passato une bella serata eh?», ridacchiò.
«sì molto bella», dissi con sguardo sognante ripensando alla notte appena trascorsa, ma comunque preoccupato per il sorrisetto che Gas continuava ad avere.
«oh beh anch’io sarei contento se avessi avuto a disposizione una splendida ragazza per tutta la notte», disse scoppiando apertamente a ridere, leccandosi avido le labbra.
«Gas!», urlai sia imbarazzato che arrabbiato. Anche se l’imbarazzo presto cedette il posto alla rabbia. Come si permetteva di pensare in certi termini a Raf! Lei era solo mia!
«meglio per te che cominci a correre», gli dissi quasi ringhiando, «altrimenti potrei ucciderti».
Gas sbiancò, rendendosi conto di aver detto una parola di troppo, e cominciò a indietreggiare tenendo le mani alzate, «e-eddai Sulfus scherzavo…», provò a scansarsi ma non lo lasciai finire. Aveva oltrepassato il segno.
Mi buttai addosso a lui e cominciammo a rotolare avvinghiati mentre ciascuno cercava di sottomettere l’altro con morsi, calci, graffi e pugni.
Kabalè e Cabiria scoppiarono a ridere e si sedettero sul mio letto per osservare meglio la scena.
Dopo un po’ sentimmo un battito di mani. «bene mie cari devil sono felice di vedere che utilizzate i sani principi della forza bruta ma ora gradirei che la smetteste visto che la cerimonia è alle porte», disse la professoressa Temptel, che era entrata in camera.
Io e Gas ubbidimmo e, non appena ci alzammo, ci guardammo negli occhi e scoppiammo a ridere. A volte mi faceva arrabbiare ma non c’era amico migliore di lui.
«ragazzi preparatevi, tra poco inizia la cerimonia». E detto questo la Temptel si dileguò, non era tipo da perdersi in chiacchiere.
Le ragazze si ritirarono nella loro stanza per prepararsi mentre noi, dopo una doccia veloce, ci infilavamo rapidamente la toga nera sopra i vestiti di sempre; in quanto devil non perdevamo tempo dietro all’estetica, qualcosa di sportivo ed eravamo a posto. Ovviamente non valeva per le devil, che facevano di tutto per apparire sexy e provocanti, indossando vestiti molto succinti e mettendo sempre del trucco pesante.
Non appena fummo pronti sentimmo la fanfara che annunciava l’inizio della cerimonia, perciò uscimmo, recuperammo Cabiria e Kabalè e ci avviammo verso l’aula sfida. Tutti e quattro non stavamo più nella pelle, morivamo dalla voglia di diventare guardian devil.
Man mano che procedevamo gli angel per i corridoi aumentavano fino che non diventammo un unico flusso che si dirigeva verso l’aula sfida.
Voltai lo sguardo e mi si bloccò il respiro. Raf camminava con le sue amiche davanti a noi, bellissima nella sua toga azzurro cielo, che le metteva in risalto le forme. Oh porca miseria, non doveva vestirsi così! Non se non voleva venire assalita da me davanti a tutto il corpo studentesco! Era… era… non c’erano parole per descriverla, anzi una ce n’era: terribilmente sexy!
“ok Sulfus controllati, ricordati che sbaciucchiartela davanti a tutti non è una scelta praticabile”, parlò il mio lato bianco, quello della razionalità (anche se, a dir la verità, non ci davo retta quasi mai).
“solo sbaciucchiarla? Se continua a rimanere vestita così, credo che non risponderò di me”, replicò la mia parte nera, quella egocentrica (che mi dominava 99 volte su 100).
“non è comunque praticabile! Devo ricordarti cosa succederebbe se…” , urlò la parte bianca.
“uffa, lo so, ho capito, non rompere”, sbottò la parte nera infastidita, e quella bianca finalmente si azzittì.
Ritornato in me, ero deciso, benchè molto a malincuore, a non avvicinarla. Decisione che fu rapidamente mandata a farsi fottere non appena mi resi conto degli sguardi che tutti i ragazzi, sia angel che devil,le lanciavano. Eh no, questo è troppo!
Feci cenno agli altri di seguirmi e ci avvicinammo a Raf e alle sue amiche. Mentre camminavo, non riuscii a trattenermi dal lanciare occhiate di fuoco a chiunque la fissasse con occhio lascivo. I ragazzi, impauriti, distolsero subito lo sguardo e io ghignai soddisfatto.
Mi avvicinai da dietro a Raf, mentre i miei amici e i suoi si disponevano apparentemente a caso intorno a noi per non farci scoprire. Apprezzai. Raf si voltò e mi sorrise.
Quando arrivammo in aula sfida, trasformata in un parco, fummo costretti a separarci e a sederci ognuno al proprio posto.
Del discorso non ricordai quasi niente, avevo fissato Raf per tutto il tempo; mi riscossi solo quando fu il momento di ritirare i diplomi.
Quando prima Raf, e poi io, salimmo sul palco, non mancarono occhiatine e mormorii, ma ne io ne lei ci badammo, era il nostro momento e non ce lo saremmo fatto rovinare da loro.
Dopo che tutti ebbero ritirato i diplomi, Serafini e Malebolge attivarono l’incantesimo e finalmente entrammo fra gli adulti. Tutti noi stagisti esplodemmo in urla di giubilio e io e i miei amici ci abbracciammo felici. Mi voltai verso Raf per dividere quel momento con lei e quando i nostri occhi si incontrarono, le sorrisi esultante. Sorriso a cui lei rispose.
E in quel momento tutto precipitò. Ci fu un terremoto e, con un rombo terrificante, il cielo dell’aula sfida si squarciò a poche decine di metri da noi, facendo riversare nell’aula decine di pherox e aquile della morte, con Reina sopra a una di loro.
Noi devil subito cercammo di allontanarci dalla massa inferocita di pherox che ci veniva addosso, ma facemmo appena in tempo a mischiarci con gli angel che Reina, dopo il suo discorso, con un movimento della sfera incendiò il parco, spezzandoci in vari gruppi. Per fortuna noi restammo insieme, ma avevamo perso di vista le angel e soprattutto di Raf. Stavo per fiondarmi a cercarla, ma non feci neanche un passo che un urlo mi bloccò.
«Sulfus attento!», urlò Kabalè. Mi voltai e vidi che l’orda di pherox ci stava caricando e che uno stava per saltarmi addosso. Visto che su di loro i nostri poteri non funzionavano decisi di ricorrere alle care e vecchie maniere: caricai il colpo e, non appena il pherox stava per saltarmi addosso, gli mollai sul muso un bel manrovescio che lo fece volare a vari metri di distanza.
Facemmo fronte compatto; anche se ero preoccupato per Raf, in questo momento dovevo aiutare me stesso e miei amici.
«Fire fly!», urlai e scaglia dei raggi di fuoco sull’orda di pherox inferocita ma, ovviamente, non funzionò. Imprecai.
«aspetta in fondo i pherox sono animali feroci, invece di distruggerli posso provare a controllarli», urlò Cabiria. «Wild Fly!» e spedì un raggio verso di loro con l’intento di soggiogare le loro menti. Per un momento sembrò funzionare ma ci ricredemmo subito; dopo un primo attimo di smarrimento, tornarono subito padroni di loro stessi.
«cazzo!», borbottò Gas a mezza voce, mentre i pherox ci accerchiavano. Poi, all’unisono, ci saltarono addosso, e allora Kabalè agì d’istinto; si parò davanti a noi e gridò «Potion!» e fra le sue mani comparve una boccetta che fece volare addosso ai pherox; la boccetta esplose e, all’istante, tutti i pherox si ritrovarono bloccati in una sostanza appiccicosa che sembrava colla. Ci voltammo increduli verso Kabalè.
«da quando in qua puoi evocare delle pozioni», le chiese Cabiria incredula.
«veramente non sapevo nemmeno io di poterlo fare», ci disse sbigottita lei, «però questo nuovo potere mi piace da matti». E scoppiammo a ridere.
Mentre i pherox erano bloccati dalla pozione di Kabalè ne approfittammo per uscire dal loro accerchiamento e portarci fuori dalla linea di tiro. Non facemmo in tempo però a spiccare il volo, che i pherox si liberarono della sostanza collosa e ci saltarono di nuovo addosso. Noi cercavamo di difenderci come potevamo, ma avevamo a disposizione solo calci e pugni, visto che i nostri poteri erano inefficaci. Eravamo talmente presi dalla lotta che non badavamo a cosa ci succedeva intorno, e quella distrazione rischiò di esserci fatale.
Ci accorgemmo che della aquile della morte stavano per colpirci solo quando sentimmo quattro schianti provenire da dietro di noi. Ci voltammo ed esultammo: le angel ci avevano raggiunto e ci avevano appena salvato al vita eliminando le aquile che stavano per assalirci alle spalle. Tutti sorridemmo alle angel ma io feci anche una dolce carezza a Raf; nonostante fossimo rimasti lontani per poco tempo, mi era comunque mancata da morire.
I ringhi dei pherox ci riportarono alla realtà; eravamo praticamente spacciati, quando i nostri prof intervennero in tempo e li fecero svanire con la sfera bianca. A sorpresa ci raggiunsero anche Gabi e Misha, che ci spiegarono come sconfiggere Reina; io e Raf perciò rivelammo i nostri poteri e, di comune d’accordo con i prof, che avrebbero organizzato un diversivo, noi otto insieme ci alzammo in volo e raggiungemmo Reina.
Provammo a fare come aveva detto Gabi, a unire i nostri poteri, ma non funzionò. Reina ci restituì il favore e, mentre eravamo impegnati a schivare i fulmini della sfera nera, la coscienza di Raf ci toccò la mente; aveva usato il suo potere per poterci parlare col pensiero.
L’idea che aveva avuto era geniale: utilizzare il potere di Gas per privare Reina della sue difese, così forse saremmo riusciti a scalfirla un minimo.
Dopo una momentanea resistenza, la sfera nera volò fra le mani di Gas, che ce la mostrò con un ghigno di trionfo sul viso.
Ora toccava a me e a Raf; ci librammo in alto, anche se non sapevamo come fare. Poi, con un’illuminazione, ci venne tutto in mente. Ci prendemmo per mano, fondemmo le nostre menti e attivammo contemporaneamente i nostri poteri; dalle nostre mani si riversò una maestosa fenice di fuoco che, obbedendo ai nostri ordini attaccò Reina, avvolgendola nella sue spire. Reina lanciò un urlo straziante e vidi Raf impallidire di colpo, mentre fissava Reina inorridita; probabilmente era uno spettacolo che le aveva fatto un certo effetto, dopotutto, aveva praticamente visto una persona bruciare viva. Intendiamoci non che questa persona non lo meritasse, ma, se era uno spettacolo che faceva rabbrividire persino un devil, per cui le cattiverie erano all’ordine del giorno, figuriamoci un angel che è tutto zucchero e bontà; per loro doveva essere spaventoso.
Reina svanì in uno sbuffo di fumo e l’aula sfida tornò finalmente normale. Era finita, era finita davvero, per sempre!
Boati di felicità esplosero da ogni singolo sempiterno presente, mentre saltellavamo, ridevamo e ballavamo inebriati dalla vittoria. I nostri amici ci saltarono addosso per farci i complimenti, dopotutto gli eroi eravamo noi. Ma Raf continuava ad essere apatica, come se avesse appena visto un fantasma; probabilmente era ancora scioccata per ciò che aveva appena visto. Per farla riprendere la presi fra le braccia e, in preda all’euforia, la sollevai e la feci girare in tondo mentre lei rideva come una matta; fui felice che finalmente stesse ritornando alla normalità. La posai a terra e, felice come non mai, mi dimenticai del luogo in cui ci trovavamo, mi chinai per baciarla. Lei per un attimo si incantò e si avvicinò a me a sua volta ma, quando mancavano pochi centimetri alle sua labbra calde e invitanti, si riscosse e mi fermò. «Sulfus ci vedono», mi ammonì con voce triste; capii che anche lei avrebbe voluto lasciarsi andare, solo che era molto più razionale e aveva capito che li sarebbe stato una follia. Perciò, con uno sbuffo e un’occhiataccia, mi staccai da lei, appena in tempo per evitare di farci scoprire dai prof.
«Raf, Sulfus!», urlarono contemporaneamente Arkhan, la Temptel, Gabi e Misha che stavano correndo verso di noi.
«abbiamo visto la fenice di fiamme, cos’è successo?», ci chiese la Temptel.
«sapesse prof… quei due sono stati fantastici. Anche se alla fine il contributo fondamentale l’ho dato io», disse Gas, che non vedeva l’ora di pavoneggiarsi con la Temptel nella speranza di impressionarla.
«Gas non è vero!», urlò Miki indignata, «sono stati Raf e Sulfus ad uccidere Reina, mica tu».
«si ma senza di me non sarebbe mai rimasta senza difese, quindi non avrebbero potuto sferrare il colpo finale», ribattè Gas sicuro di se.
Durante lo scambio Raf non si era mossa ne aveva parlato, osservandoci tutti ad uno ad uno, lasciando me per ultimo. Probabilmente non si era resa conto che me ne ero accorto; la sua espressione straziata mi colpì con la forza di un pugno allo stomaco. Perché stava così male? Sempre per ciò che aveva con Reina? Ormai mi sembrava improbabile.
Abbassò la testa un momento, fece un respiro profondo e, quando rialzò lo sguardo, un sorriso felice le illuminava il volto.
«adesso basta ragazzi», disse sempre sorridendo rivolta agli altri, che continuavano a bisticciare, «è stato merito di un lavoro di squadra, ognuno ha il suo merito», disse cercando di sedare la discussione. Era assolutamente vero, ognuno aveva fatto qualcosa.
«uff, già è vero», ammisero quei due in coro e facemmo un abbraccio di gruppo noi otto ridendo felici.
Ora Raf sembrava perfettamente normale, solare e felice come lo era sempre stata. Che mi fossi immaginato tutto?
«ora però, c’è un’altra questione da risolvere», disse serio Arkhan indicando Gas.
Noi, perplessi, ci voltammo verso di lui, curiosi perché non capivamo cosa intendeva, ma non appena posammo gli occhi su Gas capimmo; lui teneva ancora fra le mani la sfera di Reina.
«dobbiamo decidere cosa fare con la sfera», disse pensierosa la Temptel, «anche se secondo me dovremmo tenerla, in un luogo sicuro certo, ma tenerla».
Quello che disse la Temptel ci lasciò sbigottiti. Voleva tenere un oggetto malvagio? Ma era pazza? Vabbè che era una devil, e come a tutti piaceva trasgredire, ma questa era pura follia!
«ma sei pazza Temptel?!», urlò Arkhan sbigottito.
«io dico che va distrutto è un oggetto troppo pericoloso», disse Raf fissando con intensità lo scettro. Ma nel suo sguardo, anche se cercava di nasconderlo, c’era una stilla di terrore. Poteva ingannare tutti ma non me.
«io concordo con Raf, è troppo pericoloso tenere un oggetto del genere», rincarò Arkhan.
«forse nelle mani sbagliate», ribattè la Temptel, «ma la sfera nera racchiude un grande potere. Se riuscissimo a controllarla, avremmo accesso a delle conoscenze straordinarie. Immaginate le cose che potremmo fare per tutti».
In effetti, vista da questo punto di vista, la soluzione poteva essere presa in considerazione.
«beh non lo so», disse titubante Arkhan, «potrebbe essere una scelta che ci si ritorcerà contro».
«io non credo», la Temptel non voleva dargliela vinta, «dopotutto Reina è morta, nessuno potrebbe usarla a scopi malvagi».
«e va bene», si arrese Arkhan; l’idea di poter usare quella sfera per aiutare gli altri lo allettava troppo, «però la conserveremo sempre nella stanza dei ritratti, è l’unico posto abbastanza protetto per custodire la sfera».
La Temptel annuì, sapeva che Arkhan aveva ragione.
«no!», urlò qualcuno. Ci stupimmo nel constatare che era stata Raf a lanciare quell’urlo. Di solito lei non urlava mai, «ma non capite? Non c’è vantaggio per cui valga la pena di correre un rischio simile!», continuò; sembrava davvero fuori di se. Mi lasciò perplesso; non era un suo comportamento normale, cosa aveva? Mi stavo preoccupando sempre di più ogni minuto che passava.
«no Raf basta discutere, la decisione è stata presa», la liquidò Arkhan con tono duro.
Lei abbassò lo sguardo rassegnata. Aveva capito che era inutile discutere.
Arkhan e la Temptel si voltarono e richiamarono l’attenzione dei duecento e passa sempiterni presenti.
«oggi è un giorno di festa, perciò occupate il pomeriggio come più vi aggrada, stasera alla festa potrete scatenarvi», disse Arkhan, «con moderazione», sottolineò lentamente rivolto a noi stagisti.
«oh andiamo Arkhan, sono ragazzi, lasciali divertire», ribattè la Temptel. In quel momento avrei voluto ergerle un monumento.
«e va bene potrete divertirvi, ma coprifuoco a mezzanotte», concesse Arkhan.
«Evvai!», urlò Dolce all’improvviso, «ho tutto il pomeriggio per fare shopping». Noi scoppiammo a ridere.
«ok ragazzi potete andare, impiegate il pomeriggio come più vi aggrada», dissero in coro Arkhan e la Temptel e noi ci disperdemmo.
Cabiria mi si avvicinò con un sorriso sadico sulle labbra. «non mi sfuggi».
«cosa?», chiesi stupito io.
«devi diventare un vero strafigo stasera per lei», disse Cabiria, senza nominare Raf perché i prof erano a un tiro di schioppo da noi, «perciò ti rapisco e ti porto al centro commerciale per comprare uno smoking».
«nooooooo! Cabiria non mi puoi fare questo! Lo sai che io detesto lo shopping!», provai a protestare io.
«quello che vuoi tu è irrilevante», intervenì Kabalè con decisione, «perciò tu verrai con noi». E detto questo entrambe scattarono per acchiapparmi e portarmi al centro commerciale con la forza, ma io fui più rapido e mi scostai.
«no prima mi dovrete prendere», dissi con scherno e cominciai a correre.
«Sulfus! Torna subito qui!», urlarono le due cominciando a inseguirmi, mentre Gas e le angel scoppiavano a ridere.
Io corsi fuori dall’aula sfida come una furia e mi nascosi dietro un arazzo che nascondeva un corridoio segreto che collegava il sognatorio all’incubatorio. L’avevo usato spesso per andare di nascosto al sognatorio e osservare Raf mentre dormiva. Ovviamente lei questo non lo sapeva.
Mi nascosi dietro l’arazzo e vidi Cabiria e Kabalè passare avanti senza notarmi. Ghignai, gliel’avevo fatta.
Poi sentii un altro urlo di protesta, «dai Dolce non farmi questo!». Riconobbi la voce di Raf e capii cosa stava succedendo; Dolce voleva portare Raf a fare shopping e lei, essendo una sportiva, non ne voleva sapere.
Scostai di un poco l’arazzo che mi nascondeva e vidi Raf correre come un razzo per sfuggire alle sue amiche. Non appena mi si avvicinò, sporsi fuori una mano e le acchiappai un polso; poi la tirai dentro al passaggio con me giusto pochi istanti prima che le sue amiche passassero come furie. La strinsi a me per non farci scoprire, il corridoio era un po’ stretto. Lei mi sorrise.
«ottimo salvataggio», mi disse ridacchiando e con sguardo dolce, «e poi hai avuto un ottimo tempismo»., mi disse maliziosa. Io la guardai interrogativo, «avevo una gran voglia di fare una cosa».
Non feci in tempo a metabolizzare le sue parole, che mi ritrovai con le labbra incollate alle sue. Risposi immediatamente al bacio, anche io ne avevo una voglia matta.
Mi resi conto però che non era un bacio normale; le labbra di Raf erano si impazienti, smaniose come sempre, ma erano anche disperate; come se Raf fosse sicura che ci rimanesse poco tempo da passare insieme.
Il risultato? Un bacio passionale come non ne avevamo mai avuti, un fuoco che divampava nei nostri corpi inarrestabile. Strinsi Raf a me con foga, non l’avevo mai voluta come in quel momento. Lei mi rispose con tutta se stessa. Preso dalla frenesia del momento, la spinsi contro il muro e feci aderire i nostri corpi, stringendo la presa sui suoi fianchi. Lei gemette e approfondì il bacio, cosa che non credevo possibile. Ormai non avevamo più fiato. Mi staccai, ma non ero pronto a interrompere il contatto con la sua pelle, quindi feci una cosa che non avevo mai fatto prima: scesi con le labbra sul suo collo e lì la baciai, gustando il sapore della sua pelle. lei gemette di nuovo e mi accorsi che ormai il suo respiro era completamente fuori controllo. Questo non fece che eccitarmi ancora di più. Dopo aver esplorato ogni centimetro della pelle del suo collo, risalii e mi attaccai nuovamente alle sue labbra mentre lei, con un’audacia di cui non l’avrei mai ritenuta capace, allacciava una gamba al mio bacino e faceva aderire ancora di più i nostri corpi. Questa volta fui io a gemere.
Ormai eravamo a un punto di non ritorno, eravamo talmente eccitati che sapevo che stavolta non ci saremmo fermati. Non che volessi fermarmi.
Purtroppo (o forse per fortuna visto il luogo in cui eravamo) qualcuno ci interruppe. «beccati!», dissero quattro voci in coro.
Ritornammo lucidi improvvisamente e ci staccammo con violenza, eccitati come non mai e con il respiro affannato.
Ancora sconvolti per quello che era appena successo, ci guardammo intorno e vedemmo Uriè e Dolce, che occupavano il corridoio dalla parte dell’arazzo, e Cabiria e Kabalè che ostruivano l’altra parte. Ci guardavano con un ghigno soddisfatto sul volto.
«oh oh», mormorai io stringendo inconsciamente la presa su Raf.
«mi sa che stavolta non riusciremo a scappare», mi disse Raf con espressione terrorizzata. Come darle torto; la prospettiva di un pomeriggio di shopping con quelle pazze era a dir poco allucinante. Eravamo in trappola.
Le quattro si avvicinarono a noi e ci afferrarono. Uriè e Dolce presero per le braccia Raf, mentre di me si occuparono Cabiria e Kabalè.
«no dai ragazze per favore!», cercò di protestare Raf. Inutilmente.
«oh adesso basta», sbottò Cabiria esasperata, «voi due adesso venite con noi al centro commerciale».
«va bene», acconsentì Raf. Io la guardai allucinato. Ma era impazzita? «a patto che voi non ci costringerete a comprare niente. Voi potrete consigliarci, ma saremo noi a prendere la decisione finale». Cavolo, quando ragionava così sembrava una devil. Che idea!
Loro ci guardarono truci ma alla fine acconsentirono; sapevano che altrimenti non sarebbero mai riuscite a portarci lì.
Finalmente soddisfatti ci guardammo e sorridemmo.
Uscimmo dal passaggio segreto e ci facemmo trascinare fuori dalla scuola. Ci alzammo in volo e, tutti e sei, ci dirigemmo al centro commerciale. Quando vi arrivammo, ci posizionammo dietro gli alberi, dove i terreni non potevano vederci, e azionammo la metamorfosi.
Una volta umani, uscimmo dal nostro nascondiglio e ci mescolammo ai terreni.
«bene a questo punto ci separiamo», disse Dolce con uno sguardo complice a Cabiria che non mi piacque affatto.
«cosa?», dissi io contrario. Volevo restare con Raf.
«niente storie», disse Cabiria, «abbiamo deciso che non dovrete vedervi fino alla festa, di conseguenza non potete fare acquisti insieme».
«ma perché scusate?», mise il broncio Raf stringendosi a me, mentre io ricambiavo la stretta.
«per non rovinarvi l’effetto sorpresa no? Vogliamo tenervi la sorpresa per stasera alla festa», disse Uriè come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Detto questo ci staccarono a forza e ci trascinarono in direzioni opposte. Prima che io o lei potessimo fare qualunque cosa, eravamo già mescolati ai terreni e ci eravamo persi di vista.
«ma che palle ragazze!», dissi io divincolandomi ma continuando a seguirle, «non potevate almeno farmela salutare?», chiesi imbronciato. Sarebbe stato un pessimo pomeriggio.
Loro ridacchiarono ma non risposero, continuando a camminare.
«allora», esordì Cabiria, «per prima cosa direi di cominciare dallo smoking», mi disse con un sorriso e mi trascinò verso un negozio dall’altra parte del corridoio.
Eh no non c’eravamo proprio. Se dovevo vestirmi, volevo farlo a modo mio. «un momento!», dissi contrariato puntando i piedi.
«che c’è Sulfus?», mi chiese Kabalè perplessa.
«io lo smoking non me lo metto. Sembrerei solo un pinguino impomatato e farei la figura dell’idiota», spiegai a loro. Mi era già venuta qualche idea.
«ma sei matto?», rimbeccò Cabiria, «lo smoking è il massimo dell’eleganza, è perfetto per stasera».
«ma non mi rappresenta», non volevo cedere, non me lo sarei messo per nulla al mondo, «io non voglio sembrare un damerino, voglio essere me stesso».
Cabiria stava per ribattere, ma stranamente Kabalè intervenì in mio aiuto. «io credo abbia ragione, Cabiria. Deve piacere a Raf per come è, non per come appare», e detto questo mi fece l’occhiolino. La adoravo.
«uff d’accordo», si arrese Cabiria, «ma allora come vuoi vestirti?», mi chiese stupendomi e lasciandomi libera scelta.
«come sono io. Bello, dannato e impossibile», le risposi ridacchiando.
« e soprattutto modesto», mi rimbeccò Kabalè. Io sorrisi a trentadue denti.
«conoscete un negozio di pelle qui vicino?», le chiese. A loro si illuminarono gli occhi, capendo un po’ cosa volevo fare e mi portarono dritto al negozio che stavo cercando.
Una volta entrato mi persi a contemplare gli infiniti capi di pelle esposti. Dopo infinite indecisioni, rimproveri e consigli, decisi di prendere una giacca di pelle lunga fino alla vita, aderente anche da slacciata in modo che mettesse in risalto i miei muscoli.
Poi ci spostammo in un negozio per uomini per decidere i vestiti. Alla fine optai per una camicia bianca che metteva in risalto i pettorali, giusti per dare quel tocco di eleganza che serviva, e un paio di jeans neri che mettevano in risalto i muscoli del polpaccio. Mi ritenni soddisfatto. Quelli erano vestiti, altro che smoking!
Una volta usciti da lì, il mio libero arbitrio si esaurì. «ora dobbiamo andare al negozio di intimo», mi disse Cabiria e io per poco non mi strozzai con la saliva.
«come scusa?», le domandai incredulo.
«eddai non fare quella faccia», sghignazzò Kabalè, «quando si va a fare acquisti si rinnova tutto il guardaroba e poi scommetto che tu non ti compri qualcosa di nuovo da un casino di tempo». a malincuore dovetti capitolare in fondo era vero. Però, che imbarazzo! Oh andiamo Sulfus sei un devil tira fuori le palle!
Perciò andammo verso il negozio di intimo più vicino e vi entrammo. Mentre giravamo fra gli scaffali, mi parve di vedere una chioma fucsia vicino ai camerini. Ci avvicinammo e trovammo Uriè e Dolce agli scaffali di fronte a una tendina che guardavano due completi. Io distolsi lo sguardo. Ma non vedevo Raf. Dov’era?
«ragazze che ci fate qui?», chiesero Cabiria e Kabalè in coro, facendo la faccia contrariata. E meno male che non dovevamo incontrarci.
Ma loro non ci badarono e guardarono terrorizzate me. «Sulfus?! Che ci fai qui? Presto devi andare via prima che…», dissero provando a spingermi via ma non fecero in tempo.
La tendina del camerino si spostò e sentii una voce celestiale dire, «ragazze ma siete sicure che la lingerie serva per stasera?».
Quello che vidi rischiò di farmi venire un infarto. Davanti a me, in tutto il suo splendore, era apparsa Raf con solo addosso un misero completo di intimo in pizzo nero che lasciava ben poco spazio all’immaginazione. Oddio! Bip, bip, biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip… Cervello andato, ripeto, cervello andato! Sapevo che sembravo un maniaco e un pervertito, ma non riuscivo a distogliere gli occhi dalla stupenda visione che mi era apparsa. Non avrei mai creduto che Raf potesse avere un corpo così perfetto, coperto dai vestiti non avevo mai potuto ammirarlo nella sua totale perfezione: curve al punto giusto, gambe snelle e flessuose, ventre piatto, seno ne troppo grande ne troppo piccolo e quel leggero accenno di muscoli sulle braccia che mi faceva impazzire.
Sentii un violento calore nel basso ventre, mentre quella visione spediva la mia eccitazione dritta nel girone dei violenti dell’inferno. Se non me la cavavano da sotto gli occhi, avrei rischiato di sbatterla contro il muro del camerino!
Sapevo che non dovevo farlo ma, come un assatanato, percorsi avido con gli occhi tutta la silhouette del suo corpo magnifico per memorizzarlo nella mia testa. Mi sembrava di essere in paradiso (e che le basse sfere mi passassero il termine!).
Ne io ne lei avevamo proferito parola da quando era uscita dal camerino, troppo sorpresi per muovere un muscolo ma fu lei a rompere l’idillio. «Sulfus?!», gridò arrossendo di botto, «ma cosa… cavolo… non guardare!!!», urlò tirando di nuovo la tenda del camerino e nascondendosi alla mia vista.
Quel gesto mi riportò lucidità e, arrossendo, mi voltai di scatto per nascondermi la vista del camerino. Perché niente mi assicurava che avrei resistito alla tentazione di sbirciare per avere di nuovo quella afrodisiaca visione davanti agli occhi. «Raf scusa!», le urlai in un patetico tentativo di scusa. Diavolo, che imbarazzo! «mi dispiace, non avevo idea che…».
La sua voce ovattata dall’imbarazzo giunse dallo stanzino, «non ti preoccupare avrei dovuto controllare che non ci fosse nessuno». Beh a me non era dispiaciuto alla fine.
«ehm si beh ecco io ora vado», balbettai ancora un po’ imbarazzato, «ci vediamo stasera». E senza aspettare risposta ne aver salutato Uriè e Dolce, uscii a passo di carica dal negozio, mentre le altre due mi seguivano.
All’improvviso le sentii scoppiare a ridere e le guardai stralunato. Ma che c’era di divertente?
«oddio Sulfus avresti dovuto vedere la tua faccia quando hai visto Raf», ululò Kabalè senza un minimo di ritegno.
«che faccia scusa?», le chiesi io, anche se avevo paura di conoscere la risposta.
«completamente assatanata! Eri talmente sconvolto che ho temuto che potessi prendertela lì», mi rispose candidamente lei. Io per poco non soffocai. Oddio chissà che faccia mi era uscita! Chissà cosa aveva pensato Raf! Probabilmente che ero un maniaco! Ah non volevo pensarci!
“anche se per quello che hai pensato quando l’hai vista, sei un maniaco”, mi stuzzicò la mia parte nera. Che ci potevo fare se era così dannatamente irresistibile?
«uff lasciamo perdere, mancano le scarpe, andiamo», le dissi per cercare di interrompere la loro presa per il culo. Normalmente avrei fatto di tutto per evitare quella tortura, ma se in questo caso serviva a distogliere l’attenzione da me e da Raf, ben venga.
«certo, certo», mi risposero in coro quelle due ma non obiettarono.
Ci avviammo al negozio di scarpe più vicino e, fortunatamente, decidemmo in fretta. Optai per un paio di scarpe da ginnastica nere non troppo sportive, in modo che non stridessero con quello che avevo già comprato.
Finalmente a posto tirai un sospiro di sollievo. Quella tortura era finita.
«bene, ora che Sulfus è a posto, possiamo pensare a noi», disse Cabiria a Kabalè, che annuì.
Cosa?! No! E io che pensavo che la tortura fosse finita!
«voi? E no mie care, voi ve la cavate da sole, io me ne torno a scuola a fare niente con la mia roba», le dissi ghignando. Mi sarei vendicato per quel pomeriggio di torture.
«come? Oseresti lasciare delle povere donne da sole a fare shopping senza nessuno che le aiuti», mi disse Kabalè facendo lo sguardo da cucciolo che sbriciolava sempre ogni mia resistenza. «vero che rimani Sulfie?».
Mossa sbagliata. Detestavo farmi chiamare Sulfie. Era un nomignolo che avevo sempre detestato. «puoi scordartelo», le dissi ridendo e corsi via portandomi dietro la mia roba. Sentii le loro urla di protesta ma non ci badai.
Avevo altro per la testa; non per ultimo il corpo di Raf avvolto solo da quel misero completino intimo. Pensarla mi fece ritornare in mente che questa sarebbe stata la nostra ultima sera insieme per chissà quanto tempo e capii di volerle fare un regalo speciale di arrivederci, qualcosa che le restasse nel cuore.
Ci stavo rimuginando, quando, poco prima di uscire dal centro commerciale, vidi un negozio di musica, con esposto in vetrina un bellissimo pianoforte a coda nero lucido. Mi fermai di botto; nessuno lo sapeva, perché non era una cosa che si addicesse ad un devil, ma in realtà io sapevo suonare il pianoforte, anche meglio di certi pianisti angel, per i quali suonare il piano era una forma d’arte. Se gli altri devil lo avessero saputo mi avrebbero preso in giro a vita, ma io avevo sempre considerato il pianoforte uno strumento affascinante e, di nascosto da tutto e da tutti, avevo coltivato la mia passione per anni. Ora potevo sfruttare questa passione per fare il mio regalo a Raf.
Illuminato da nuova determinazione, attivai la metamorfosi inversa, volai verso la scuola e mi misi al lavoro.
POV RAF
Dolore. Non sentivo nient’altro che dolore. Un dolore talmente vivo, bruciante che sembrava corrodermi le carni e consumarmi le ossa. Non credevo che una persona potesse provare un’agonia interna così maledettamente devastante. Molte volte avevo pensato di aver raggiunto il livello massimo di dolore che potevo provare: quando avevo capito che io e Sulfus non saremmo mai potuti stare insieme, quando ero stata quasi espulsa dalla scuola e avevo quasi perso le mie amiche più care, quando, solo poche ore prima, ero stata convinta di dover lasciare Sulfus per molto tempo prima di poterlo rivedere.
Ma quello in confronto era niente; questo dolore, questa consapevolezza, facevano dieci volte più male di qualunque cosa avessi mai provato prima. Mi sembrava che mi stessero strappando il cuore a morsi, molto lentamente per prolungare l’agonia.
E ne sapevo il motivo: anche se le volte precedenti ero stata disperata, avevo sempre avuto una qualche speranza che non sarebbe stato così, che le cose sarebbero potute andare diversamente e cambiare nonostante tutto; stavolta sapevo che per me non c’era più speranza, sapevo che stavolta le cose non sarebbero mai tornate come prima, che questa volta, almeno per me, era tutto perduto. E se tutto questo dolore derivava semplicemente dalla consapevolezza di aver deciso, non osavo immaginare quanto questa agonia sarebbe stata insopportabile una volta che avessi messo in pratica la mia decisione. Mi feci forza: lo dovevo fare per loro.
Oltretutto la preoccupazione che provavo non mi aiutava affatto: la consapevolezza che la sfera nera era ancora a “piede libero” mi stringeva lo stomaco in una morsa. Avevo provato a convincere gli altri a distruggerla ma non c’era stato verso e, quando avevo capito che con il mio comportamento stavo attirando l’attenzione, avevo desistito. Per attuare il piano che si stava formando nella mia testa avevo bisogno di passare inosservata e risultare il più normale possibile, così nessuno avrebbe sospettato niente.
Avrei potuto rivelare ciò che era successo per convincerli che distruggere la sfera era la scelta migliore ma non lo feci: era un problema mio e non volevo metterli in pericolo.
Le risate delle ragazze mi riportarono alla realtà e cercai di assumere la mia solita espressione rilassata per non tradire la mia angoscia interiore. Vidi Sulfus correre via rapidissimo mentre le devil lo rincorrevano intimandogli di fermarsi: lo volevano portare a fare shopping. Nonostante la desolazione che albergava nel mio cuore, non potei impedirmi di farmi scappare un piccolo sorriso: Sulfus a fare shopping proprio non ce lo vedevo.
«ehi tu cos’è quel sorrisetto ironico?», mi apostrofò Dolce, «non credere che ti risparmierò», continuò con uno scintillio malefico negli occhi. Perché la prospettiva di un pomeriggio di shopping con Dolce mi terrorizzava tre volte di più della prospettiva di dieci attacchi di Reina in contemporanea?
«dai Dolce non farmi questo», la supplicai con gli occhi da cucciolo e la voce tenera per cercare di farla desistere dai suoi propositi omicidi.
«oh sì invece!», rincarò Uriè, avvicinandosi minacciosa a me. E a quel punto scappai. Infilai alla velocità della luce la porta dell’aula sfida e mi fiondai in corridoio, mentre quelle due urlavano e mi rincorrevano. Mi dovevo nascondere ma non avevo idea dove.
Proprio mentre passavo davanti a un arazzo, una mano sbucò da dietro il tessuto e mi afferrò un polso, trascinandomi dietro un corridoio segreto di cui non conoscevo l’esistenza.
Due braccia forti mi strinsero e il suo profumo mi avvolse. Incatenai i miei occhi ai suoi e gli sorrisi, mentre le mie amiche passavano avanti senza notarci.
In quel momento però, non me ne importava niente di loro: in quel corridoio angusto, il dolore per l’imminente separazione, il desiderio di lui, il suo profumo e la sua vicinanza, si stavano combinando in un mix esplosivo che mi stava dando alla testa.
Perciò, senza tanti preamboli, dopo un breve scambio di battute, incollai disperatamente le mie labbra alle sue, smaniosa di riappropriarmene. Lui, dopo un attimo di smarrimento, dovuto alla mia insolita irruenza, mi strinse a se con foga come se non volesse più lasciarmi andare e ricambiò con passione il mio bacio. Quel pensiero mi scatenò un’agonia insopportabile dentro e approfondii ancora di più il bacio, accorgendomi solo in quel momento che mi aveva appoggiata al muro.
Senza fiato ci staccammo ma lui non volle allontanarsi dalla mia pelle ed esplorò con le sue labbra il mio collo, scatenando i miei brividi di piacere e facendomi gemere. E quando risalì e si attaccò di nuovo alla mie labbra, allacciai una gamba al suo bacino per avvicinarlo di più a me, desiderosa di un contatto più profondo fra noi. Lo sentii gemere.
La parte del mio cervello non ancora disconnessa e pensante continuava a lanciarmi domande: perché non mi fermavo? Perché, anzi, non volevo che smettesse, che mi stringesse di più? Perché volevo così disperatamente sentire la sua pelle sulla mia e le sue mani che, accarezzandomi, mi avrebbero mandata in estasi? Perché?!
Erano domande senza risposta. E intanto, un unico ordine, che il mio corpo stava volutamente ignorando, si stagliava nella mia mente: fermati, fermati, fermati!!! Ma il mio problema era che non mi volevo fermare.
Fortunatamente fummo costretti a staccarci; quelle quattro maniache dello shopping ci avevano trovato e intrappolato. Fummo presi a forza e condotti fuori dal corridoio. Normalmente non mi sarei mai sottoposta a quel supplizio ma quel giorno mi resi conto che era proprio quello che volevo; era la mia ultima occasione per poter passare un po’ di tempo con le mie amiche e non me la sarei fatta sfuggire, volevo passare il mio ultimo pomeriggio con loro. Però posi la mia condizione e loro, a malincuore, la accettarono; sapevano che altrimenti non sarebbero mai riusciti a trascinarci a fare shopping.
Finalmente d’accordo ci lasciammo trascinare al centro commerciale. Una volta arrivata venni presa da un senso allo stesso tempo di euforia e di tristezza; era l’ultima giornata che avrei trascorso con le mie amiche.
Avevo programmato di restare sempre appiccicata a Sulfus, volevo stare con lui il più possibile, ma i propositi di quelle pazze fecero sfumare i miei piani. Infatti, senza darci tempo di replicare, ci trascinarono in due direzioni opposte dividendoci perché avevano deciso che non potevamo vederci fino alla festa.
Ero arrabbiata e triste perché avevano deciso per me ma, quando fui lontana da Sulfus, capii che, in realtà, era quello che volevo; volevo passare un po’ di tempo da sola con le mie amiche come non mi accadeva da tanto, troppo tempo. perciò relegai ogni pensiero triste in fondo alla mia mente e decisi che quell’ultima giornata con loro non me l’avrebbe rovinata niente e nessuno.
«allora, da dove vogliamo cominciare?», le chiesi, lasciandole stupite. Ma si ripresero subito e approfittarono di quell’unica occasione in cui mi mostravo accondiscendente.
«ma dal vestito ovvio!», esclamò Dolce e subito mi prese per mano portandomi verso l’unico negozio del centro che vendeva vestiti adatti al ballo di fine anno. Uriè ci seguì pronta a dare man forte a Dolce nel caso avessi cercato di scappare.
Entrammo nel negozio e subito Dolce entrò in modalità iperattiva, «bene direi subito di cercare qualcosa di elegante ma innovativo», disse dirigendosi verso il reparto dei vestiti più elaborati, lunghi e scomodi. Da evitare come la peste!
«no Dolce!», dissi fermandola. Stava già per ribattere ma la precedetti, «non voglio qualcosa di eccessivamente elegante, anzi, voglio qualcosa di informale che rispecchi la mia personalità», e anche sexy avrei voluto aggiungere ma non lo feci, dopotutto non sapevo nemmeno io perché volessi un vestito sexy.
A Dolce si illuminarono gli occhi, aveva capito cosa intendevo e subito tutte e tre ci precipitammo verso il reparto dei vestiti più “sportivi”. Passammo ore a provare vestiti su vestiti, mentre le commesse, sconvolte dalla pazzia delle mie amiche, cercavano di accontentarci indicandoci i capi che secondo loro facevano al caso nostro, capi che sistematicamente Dolce scartava, spesso senza neanche farmeli provare, dicendo che non si adattavano alla mia figura. Dopo un po’ esasperata, visto che Dolce non mi interpellava quasi mai, sgattaiolai via nella corsia adiacente che Dolce non aveva considerato perché diceva che non c’erano capi adatti a me; in effetti quello era più un reparto per le devil che per le angel. Tuttavia, spinta da non so cosa, cominciai a girare in quella corsia dando un’occhiata ai vestiti esposti in quella sezione, leggermente più provocanti rispetto a quelli casti e puri su cui volevano puntare Dolce e Uriè.
Stavo per tornare da loro, quando un vestito su un manichino nascosto in un angolo della corsia attirò la mia attenzione; mi ci avvicinai per guardarlo meglio, visto che la luce in quel punto non era delle migliori, e rimasi senza fiato: era un vestito nero che arrivava a metà coscia, molto aderente. Era senza spalline e si allacciava dietro al collo e lasciava le spalle scoperte passando da sotto le ascelle. Per finire il tutto, un motivo curvilineo di strass si propagava per tutto il vestito. Lo fissai estasiata e ne fui sicura: avevo trovato il vestito perfetto per me.
«Dolce, Uriè!», urlai attirando la loro attenzione. Si precipitarono al mio fianco in un batter d’occhio.
Mi guardarono interrogative, chiedendosi perché avessi urlato in quella maniera, e io, prima che potessero parlare, le indicai con un sorriso enorme il vestito di cui mi ero innamorata a prima vista. Non appena ci posarono i loro occhi sopra i loro sguardi si illuminarono anche se Dolce non sembrava proprio convinta.
«Raf sei sicura che questo vestito sia adatto? A me sembra un po’ troppo provocante», mi disse infatti dubbiosa.
«oh andiamo Dolce», mi disse Uriè venendomi in aiuto, «direi che per una volta possiamo passare sopra agli schemi. Dopotutto dobbiamo portare a termine la missione “come far impazzire Sulfus stasera” e direi che per una volta uno strappo alla regola possiamo permettercelo». La fissai stralunata; di solito un angel non diceva mai queste cose. Mi affrettai però a ringraziarla con lo sguardo, se l’avevo come alleata Dolce non avrebbe potuto opporsi alla mia volontà. Dentro di me gongolai di soddisfazione.
«uffa e va bene però voglio vedere prima come ti sta», disse Dolce che voleva come al solito esserne sicura al cento per cento. Detto questo, senza tanti complimenti, prese il vestito dal manichino , me lo mise fra le mani e mi spinse dentro un camerino.
Mi sfilai jeans e maglietta e mi infilai il vestito facendolo passare dalle gambe; me lo allacciai dietro al collo e me lo posizionai bene intorno al corpo in modo che aderisse bene e non facesse pieghe. Con il vestito a posto mi rimirai nello specchio e rimasi senza fiato; ero davvero io quella ragazza provocante e affascinante riflessa nello specchio? Insomma non per vantarmi ma ero davvero splendida. Non fosse stato per un particolare. In tutto quello l’unica cosa che faceva a pugni era la mia biancheria che, oltre a essere bianca, era sportiva, quindi totalmente inadatta a quell’abito. Dentro di me mi maledii; perché non avevo mai ascoltato Dolce e Uriè quando mi dicevano che nel guardaroba di una ragazza dovrebbero esserci anche dei completini sexy invece che solo sportivi? Infatti, essendo una sportiva, avevo sempre preferito la roba comoda a quella elegante e, di conseguenza, nel mio armadio potevi trovare brassiere a non finire, ma non un solo completo che avrebbe potuto essere adatto per la serata.
A parte quel piccolo particolare, il vestito mi stava d’incanto; aderente ma non in modo volgare, mi metteva in risalto le forme del sedere e delle cosce e la leggera scollatura metteva in risalto il mio decolté. Un sorriso mi illuminò il viso.
Spalancai la tendina e uscii. Quando le ragazze mi videro per poco non le schizzarono gli occhi fuori dalle orbite. «Raf sei stupenda!», riuscì a dire Dolce dopo un primo attimo di muta sorpresa, «non l’avrei mai detto ma questo vestito ti sta d’incanto». E capii che ora anche lei era convinta dell’acquisto.
Perciò, finalmente soddisfatte, pagammo e uscimmo e, prima di andarcene, feci in tempo a vedere le commesse accasciarsi sfinite a terra. Dolce sapeva essere devastante quando voleva e oggi lo era stata più del solito.
«ora passiamo alla biancheria», urlò Dolce in preda all’entusiasmo.
Avrei voluto ribattere, comprare biancheria era l’ultima cosa che volevo, ma non lo feci; dopotutto avevo ammesso io stessa che avevo bisogno di qualcosa di più adatto all’occasione in camerino. Perciò mi lasciai trascinare al negozio di intimo più vicino. Appena entrammo Dolce e Uriè mi condussero nel reparto dei completi più provocanti. Non appena vidi le cose esposte in quel reparto, mi venne un colpo.
«ragazze ma siete diventate matte?!», quasi urlai, «devo andare a una festa in maschera non ad un party di playboy». Non mi sarei messa quei cosi per nessuna ragione al mondo, «io opterei per qualcosa di non eccessivamente appariscente», dissi loro prendendo un semplice completo nero, ne troppo appariscente ne troppo semplice, elegante quanto bastava per quella serata.
«no no non se ne parla», ribattè Dolce decisa, «tu adesso ti provi questo», mi disse mostrandomi un completino di pizzo nero che veniva dalla sezione lingerie; era minuscolo e provocante, perfetto decisamente per un altro tipo di intrattenimento. A quel pensiero, imbarazzatissima e rossa come un peperone, trasalii.
«oh poche storie e non fare quella faccia», mi rimbeccò Uriè, «tanto da sotto il vestito non si vedrà niente e devi trovare qualcosa di abbastanza delicato che si abbini. Quindi questo è perfetto. Ora va dentro al camerino e provatelo» e detto fatto mi spinsero dentro il camerino senza possibilità di replicare. Perciò, con un sospiro, cominciai a spogliarmi. Feci scivolare a terra i vestiti e poi, con un attimo di esitazione perché il mio sesto senso inspiegabilmente si era risvegliato, mi tolsi anche l’intimo. Deglutendo un po’ imbarazzata da quel completo, me lo indossai con mani tremanti dando le spalle allo specchio. Avevo paura di guardarmi.
Facendo attenzione a non guardarmi per evitare di strapparmelo di dosso, uscii dal camerino per farmi vedere dalle altre.
«ragazze ma siete sicure che la lingerie serva per stasera?», dissi con sguardo basso un po’ imbarazzata. Tuttavia l’unica cosa che sentii fu un respiro trattenuto bruscamente, perciò alzai lo sguardo e gelai; davanti a me, che mi fissava con un espressione a metà fra lo stupito e l’eccitato, c’era Sulfus. Troppo sorpresa per fare alcunché rimasi a fissarlo con la bocca spalancata mentre lui, con lineamenti ora molto più eccitati che stupiti, percorreva tutta la mia figura. Il suo sguardo affamato scatenò in me una reazione che non avrei mai ritenuto possibile; perché in quel momento il suo desiderio era evidente nei suoi occhi infuocati che mi guardavano, e quel desiderio stava risvegliando in me una parte che non sapevo neanche di avere fino a che non aveva cominciato a farsi sentire. La parte del desiderio e dell’amore, che in quel momento gridava solo una cosa: “prendimi Sulfus, sono tua, prendimi e fa di me quello che vuoi”. Ero completamente soggiogata dal suo sguardo, succube della sua persona, sottomessa alla forza del suo desiderio che si rifletteva anche in me. Il suo sguardo percorse nuovamente la mia figura dall’alto in basso, lentamente, beandosi del momento che si era creato. Fu quello sguardo però, quando incrociò di nuovo i miei occhi, che mi fece rinsavire; mi resi improvvisamente conto che ero davanti a Sulfus praticamente nuda!
Arrossii di botto. «Sulfus?! ma cosa… cavolo… non guardare!!!», urlai tirando la tendina e nascondendomi alla sua vista, non prima di averlo visto girarsi per non vedere. Era rosso come un pomodoro.
«Raf scusa!», mi urlò tentando di scusarsi, «mi dispiace, non avevo idea che…», cercò di parlare ma non lo lasciai finire; in fondo dovevo stare più attenta io.
«non ti preoccupare avrei dovuto controllare che non ci fosse nessuno», dissi con voce rotta dall’imbarazzo. Il problema era che, anche se non l’avrei mai e dico mai ammesso, lo sguardo con cui mi aveva fissato, il suo sguardo, mi aveva eccitata da morire e mi era piaciuto.
Mi salutò e se ne andò velocemente, imbarazzato tanto quanto me. Il problema era che non mi calmavo; il desiderio che il suo sguardo aveva scatenato dentro di me non accennava a diminuire, anzi, cresceva sempre più ogni minuto che passava. Mi appoggiai alla parete fresca cercando così di spegnere il fuoco che imperversava senza sosta dentro di me: perché il suo sguardo aveva scatenato pensieri e istinti che una angel non dovrebbe mai avere.
Scossi la testa, cercando di schiarirmela e di fare luce sui miei sentimenti. Insomma, ero sempre stata con Sulfus al mio fianco ma non avevo mai provato delle emozioni così intense; erano talmente forti che mi stordivano con la loro intensità e non trovavo la causa. Perché ora doveva essere diverso?
E finalmente trovai la risposta: il mio desiderio era aumentato quando avevo preso la drastica decisione di andarmene dopo lo scontro con Reina. Questo voleva dire solo una cosa: che la consapevolezza che presto ci saremmo separati per sempre, senza la possibilità di rivederlo, aveva portato a galla ciò che il mio inconscio e il mio lato da angel avevano volutamente ignorato e represso. La passione, l’amore e il desiderio, il desiderio di condividere per un’unica volta nella mia vita l’esperienza più appagante che una coppia potesse avere.
Finalmente tutti i tasselli andavano al loro posto, avevo finalmente capito cosa scatenasse le mie violente reazioni: la voglia di fare l’amore con Sulfus, di sentirmi completa, un’unica volta nella mia vita prima di sparire per sempre e così cadere nel vortice della disperazione. Sorrisi per la prima volta sinceramente dopo la battaglia; il mio sorriso era però velato di determinazione. Volevo fare l’amore con Sulfus e l’avrei fatto, fosse l’ultima cosa che avrei fatto nella mia esistenza, e il bello era che non mi scandalizzavo più di tanto perché, alla fine, la mia era solo una ricerca della felicità, un piccolo momento di felicità prima di cadere nel vortice della disperazione.
Finalmente consapevole di quello che volevo fare, mi rivestii e uscii dal camerino, dove trovai ad aspettarmi Dolce e Uriè, che mi fissavano con espressione preoccupata. «Raf tutto bene?», mi chiese Uriè apprensiva.
Io fui solo capace di annuire con un sorriso smagliante sulle labbra. Loro si fissarono interrogative ma poi scossero la testa e sorrisero. «allora Raf lo prendiamo?», mi chiese Dolce, indicando il completo che avevo ancora in mano.
«certo!», dissi io. Sulfus aveva già dimostrato di apprezzarlo e quindi era sicuramente un ottimo alleato per farlo impazzire. Rimasi scioccata dai miei stessi pensieri: da quando in qua una angel aveva il fegato di pensare certe cose? Ma in quel momento non m’importava. Avevo un obiettivo e l’avrei raggiunto a qualsiasi costo.
Andammo a pagare alla cassa ed ebbi una sorpresa a dir poco piacevole; abbinato al completo che avevo provato c’era una sottoveste in pizzo nero che veniva in regalo insieme al completo. Non potevo sperare in niente di meglio.
Decidemmo, una volta fuori, di passare agli accessori. Perciò ci dirigemmo senza indugio verso il negozio di scarpe più vicino. Lì, dopo un’attenta ed estenuante scelta ad opera di Dolce, decidemmo di comprare un paio di scarpe col tacco: i laccetti di pelle erano stile infradito con dei lustrini che richiamavano gli strass del vestito, ma il vero colpo di genio era che i laccetti della scarpa si intrecciavano su tutto il polpaccio fino quasi al ginocchio, slanciandomi ancora di più del solito.
Poi passammo ai gioielli anche se optammo per qualcosa di semplice; un braccialetto e una collana a pendente di cristalli Swarovski, che alla fine non costavano neanche troppo. Avevo dovuto lottare per avere una cosa semplice, perché avrei tenuto anche il ciondolo a cuore che mi aveva dato Sulfus, e alla fine la spuntai.
«ma perché vuoi tenere a tutti costi quel ciondolo a forma di cuore? Chi te l’ha regalato?», mi chiese curiosa Dolce dopo essere uscite dal negozio. Ecco lo sapevo; avevo insistito, ma sapevo che alla fine avrei dovuto affrontare la loro curiosità.
«è un regalo di Sulfus», ammisi imbarazzata. Loro mi fissarono incredule.
«sul serio? Cioè Sulfus, che è un devil, ha fatto un gesto così romantico? Oddio che dolce», mi disse Uriè incredula con gli occhi che le luccicavano, «fa vedere!», urlarono poi in coro, e si fiondarono su di me per osservare meglio il ciondolo, che non avevo più tolto da quando Sulfus me lo aveva regalato.
Lo tastarono, lo aprirono, rimirarono la foto e si persero nei complimenti per il gesto romantico del mio amore. Intanto ci stavamo dirigendo verso l’uscita con tutte le nostre sporte quando, passata davanti a un estetista mi bloccai. Loro mi fissarono interrogative, ma io non dissi niente mentre nella mia testa si formava un’idea altamente folle per la mia sanità mentale e allo stesso tempo perfetta per raggiungere il mio scopo.
«ragazze se io vi proponessi un bel trattamento da estetista per prepararci alla serata, voi cosa mi rispondereste?». Loro mi fissarono con gli occhi luccicanti e esplosero in un entusiastico «sìììììììììììììì!!!».
Detto fatto entrammo dall’estetista, che per fortuna non aveva fila e poteva occuparsi subito di noi. Lasciammo le nostre sporte all’ingresso, perché anche Uriè e Dolce, mentre io cercavo la mia roba, avevano trovato i loro vestiti e accessori, e ci lasciammo trasportare nei vari stanzini. Facemmo tutte un trattamento completo: manicure e pedicure, pulizia del viso, massaggio, ceretta e vari trattamenti per far risplendere ogni singola parte del nostro corpo. Alla fine ci sentimmo come rigenerate. Poi facemmo tappa anche dal parrucchiere che ci tagliò i capelli: Dolce optò per una semplice scalatura, Uriè decise per una volta di piastrarseli, solo per quella sera, mentre io me li feci un po’ regolare e mi feci i capelli che partivano lisci ma vaporosi dall’alto e che finivano in soffici boccoli sulle punte.
Dolce aveva detto di volersi occupare del trucco personalmente. Infatti, con i trucchi, nemmeno le più esperte truccatrici reggevano il confronto con lei.
Finalmente soddisfatte, uscimmo dal centro commerciale che era ormai il tramonto. Ci guardammo sbalordite: avevamo trascorso tutto il pomeriggio al centro commerciale? Per di più senza mangiare niente. Su quel punto decidemmo di aspettare; sapevamo che alla festa ci sarebbe un buffet con ogni ben di dio. Ma avevamo poco tempo per preparaci, la festa sarebbe iniziata di lì a un’ora. Perciò ci ritrasformammo in sempiterni e volammo rapidissime verso la scuola. Una volta arrivate lì ci fiondammo in camera mia, dove trovammo Miki ad aspettarci con la sua roba. Andammo dentro e subito, a turno, ci facemmo una bella doccia. Poi passammo ai vestiti, che indossammo rapidissime, ma quello era il meno. La parte difficile veniva con il trucco; Dolce infatti aveva insistito perché fosse lei la truccatrice per tutte e quattro, e visto che la festa sarebbe iniziata di lì a venti minuti circa, sarebbe stato difficile fare in tempo. Invece ci preparò tutte in un batti baleno, finimmo addirittura con largo anticipo. Eravamo ufficialmente pronte: Miki indossava un vestito verde mare, lungo e classico, era uno di quei vestiti senza spalline con le maniche che si aprivano a zampa di elefante. Aveva i capelli sciolti e girocollo di pietre verdi e ai piedi portava delle delicate ballerine glitterate, visto che lei non sopportava i tacchi; Uriè aveva optato per un vestito fresco, come lei. Era giallo con un motivo azzurro di filo brillante, corto fino alle ginocchia, si allacciava dietro al collo e la gonna non era aderente e si apriva leggermente. Completava il tutto con un paio di stivali abbinati, un paio di scalda muscoli gialli aderenti alle braccia e i capelli raccolti in un elegante chignon con due ciuffi laterali a ricaderle sul viso; Dolce aveva optato per un vestito classico, un tubino rosa senza spalline con la gonna a balze fino alle ginocchia. Poi completava con un paio di stivali bianchi col tacco vertiginoso, dei guanti bianchi e un girocollo di piccole perle. I capelli erano raccolti in un elegante coda alta; io invece avevo messo tutto quello comprato e avevo lasciato i capelli sciolti, solo che Dolce aveva raccolto i capelli che di solito erano legati dal ciuffo con un delicato pettine di acquemarine. Avevo un trucco delicato, con un ombretto glitterato, un po’ di lucidalabbra, l’eye-liner, un velo di fard e il mascara.
Eravamo in perfetto orario, perciò uscimmo e ci dirigemmo verso il salone delle feste della scuola; infatti l’edificio aveva una sala apposita, alla quale si accedeva da una scalinata, utilizzabile esclusivamente per le feste.
Trasformate in terrene, ci unimmo agli umani e ai sempiterni trasformati che, tutti in ghingheri, stavano salendo lo scalone che portava alla festa. Sospirai mentre un improvviso moto di tristezza mi invadeva; la mia ultima serata con le mie amiche prima di andarmene.
Scossi la testa: non volevo pensarci adesso.
Stavamo per entrare quando quelle tre pazze mi fermarono. «no tu devi entrare dopo di noi, da sola», mi disse Miki.
Strabuzzai gli occhi. Da sola?! Davanti a tutte quelle persone?! Nemmeno morta! «ma perché scusate?», chiesi io.
«perché tu stasera sei di gran lunga la più bella di tutte noi», affermò Dolce convinta, «e, di conseguenza, farai di sicuro più effetto se scenderai lo scalone all’interno della sala da sola». E detto fatto entrarono dentro senza darmi la possibilità di replicare.
«tu aspetta che inizi la nuova canzone e poi seguici», mi disse Uriè e seguì dentro le altre.
Io rimasi li fuori da sola, schiumante di rabbia e imbarazzo; scendere le scale sotto lo sguardo di tutti era molto al di la delle mie capacità, visto che odiavo essere al centro dell’attenzione. Ma non potevo fare altrimenti ormai.
Più i minuti passavano, più le persone che entravano si erano diradate, fino a scomparire del tutto. Ah perfetto; la scala me la facevo proprio da sola.
Finalmente sentii l’inizio della nuova canzone e per poco non mi strozzai. Sapevo che musica era: era la canzone del film cinderella story, quando lei scendeva lo scalone della festa in maschera. Mi sfuggì quasi un ringhio; sapevo che dietro tutto questo c’era lo zampino delle mie care migliori amiche.
Beh se dovevo essere masochista, tanto valeva farlo fino in fondo. Perciò presi il coraggio a due mani e spalancai i battenti della porta, entrando nel salone. Davanti a me la scala, alla fine della quale molti corpi si dimenavano a ritmo di musica. Una stroboscopica pendeva dal soffitto al centro esatto della pista da ballo. Su un lato della sala si poteva vedere il fantastico tavolo del buffet e, al suo fianco, il bar per i drink. In fondo alla sala, dietro alla pista da ballo si poteva vedere la piattaforma del dj, che notai con sorpresa essere Gas. Infine numerosi tavolini erano sparsi per tutto lo spazio restante. Pregai che le numerose persone che si muovevano a ritmo di musica non mi notassero.
Cominciai a scendere lo scalone sulle note della canzone, regolando, senza rendermene conto, il mio passo al ritmo della melodia. Immediatamente molte teste, soprattutto maschili, si voltarono nella mia direzione; in un primo momento avvampai ma poi, illuminata da nuova determinazione, alzai fiera il viso e continuai a scendere, ancheggiando.
Arrivata alla fine dello scalone, mi guardai intorno nella speranza di trovare le mie amiche, che non si sarebbero risparmiate una ramanzina con i fiocchi. Dopo una accurata ricerca le vidi sedute a un tavolino con le devil che chiacchieravano; mi lanciarono tutte e cinque uno sguardo di approvazione per la mia entrata. Ah anche le devil? Bene adesso erano anche loro nella lista delle persone da uccidere.
Tuttavia Sulfus non era con loro; mi prese il panico. Dov’era finito? Lo stavo cercando con lo sguardo quando qualcuno mi afferrò un polso delicatamente. All’istante mi irrigidii; non era Sulfus, avrei riconosciuto il suo odore fra mille e non era neanche nessuna delle mie amiche. Spaventata mi voltai divincolandomi: davanti a me c’era un ragazzo con un sorriso strafottente sul viso, dai capelli biondi e gli occhi chiari. Avevo subito inquadrato il tipo: il classico playboy.
«ehi dolcezza», mi disse con uno sguardo rapace che non mi piacque per niente, «dove ti eri nascosta tutto questo tempo? volevi farti bella per il grande Max?», mi disse lui guardandomi maliziosamente.
Quello sguardo mi fece andare in bestia. «no grazie non uscirò con uno come te ne ora ne mai», gli dissi e feci per andarmene e raggiungere le mie amiche al tavolo.
Ma lui mi afferrò di nuovo, «eddai, è ovvio che a queste feste i più belli devono stare insieme e mi sembra altrettanto ovvio che questa sera i migliori siamo noi». Provai a divincolarmi ma questa volta non ci riuscii. Un brivido di paura mi percorse la schiena, quel ragazzo non mi piaceva per niente. Con la coda dell’occhio vidi le mie amiche con sguardo preoccupato alzarsi per venire ad aiutarmi, ma all’istante si rilassarono, guardando qualcosa alle mie spalle. Non feci in tempo a chiedermi cosa fosse che sentii un braccio attorno alla mia vita tirarmi contro qualcuno, liberandomi così dalla presa di Max. E questa volta seppi con esattezza chi era.
«non posso che darti ragione», disse Sulfus stringendomi possessivamente a se mentre io ricambiavo la stretta, «perciò converrai che io e lei dobbiamo stare insieme no? Sono molto meglio di te», disse con un’occhiata sprezzante all’interessato. Aveva ragione: camicia bianca e giubbotto di pelle slacciato che mettevano in risalto i muscoli, un paio di jeans neri che gli fasciavano le gambe e i capelli ribelli che gli incorniciavano il volto. Nessuno era meglio di lui quella sera. «perciò ti conviene smammare e prova a toccare di nuovo la mia fidanzata e ti spezzo le gambe». Come come come?! Aveva detto che ero la sua fidanzata? Lo fissai a bocca aperta, rapita dal suono che quelle parole producevano se pronunciate dalla sua meravigliosa voce vellutata. Un sorriso dolce ed emozionato spuntò sul mio volto.
Il ragazzo, terrorizzato, scappò senza pensarci due volte. Lui ghignò e poi si voltò con sguardo tenero verso di me.
«tutto ok?», mi chiese premuroso abbracciandomi alla vita.
Riuscii solo ad annuire e ad appoggiare le mani sul suo petto, troppo emozionata da quello che aveva detto.
«Raf, tutto bene?», mi chiese lui preoccupato perché non aprivo bocca.
«quindi sono la tua fidanzata?», sussurrai emozionata guardandolo negli occhi.
Ma lui fraintese le mie parole, «beh se non ti piace posso anche evitare di dirlo… insomma era solo un modo per farlo andare via ma se ti da fastidio posso…», imbarazzato, aveva preso a parlare a macchinetta. Lo zittii posando un dito sulle sue labbra.
«è che mi piace più del lecito sentirtelo dire», gli dissi con uno sguardo pieno d’amore.
Lui fece la faccia stupita ma poi sorrise a trentadue denti aumentando la presa sulla mia vita. Si abbassò vicino al mio orecchio e, con voce sensuale mi sussurrò, «sei la mia fidanzata».
Brividi numerosi fecero su e giù lungo la mia schiena e strinsi forte le braccia intorno al suo collo, «uhm decisamente mi piace più del dovuto», dissi col fiato corto.
Lui ridacchiò e, finalmente, facemmo unire le nostre labbra in un bacio dolce, lento e pieno d’amore; non avevamo fretta, questa serata sarebbe stata solo per noi. Infilai le dita nei suoi capelli per stringerlo a me e prolungare il bacio e lui, in risposta, mi accarezzò la schiena nuda facendomi ansimare.
«eddai ragazzi non vorrete dare spettacolo», dissero le devil interrompendoci. Ci voltammo e vedemmo le nostre amiche ridere al tavolo come delle matte. Sbuffai e le feci la linguaccia e loro risero ancora più forte.
Mi voltai verso Sulfus e mi accorsi che mi stava guardando rapito, «stasera direi che sei bella è un insulto», mi disse tenero, «sei molto più che stupenda». A quelle parole il cuore mi balzò in gola.
«beh tu non sei da meno», gli dissi ridacchiando e squadrandolo con sfacciataggine da capo a piedi.
Lui scoppiò a ridere. «dato una bella occhiata?», mi disse per prendermi in giro. Io avvampai dalla testa ai piedi.
«dai raggiungiamo le altre prima che ci prendano in giro a vita», gli dissi sbuffando, avrei voluto passare un po’ di tempo da sola con lui.
Stringendomi la vita, si incamminò verso il tavolo, con me attaccata a lui. Quando vi arrivammo feci per sedermi sulla sedia ma Sulfus, già seduto, mi tirò sulle sue gambe,facendomi appoggiare al suo petto muscoloso. In un primo momento la situazione mi imbarazzò ma mi rilassai quando mi resi conto che per una sera potevamo essere noi stessi senza doverci nascondere agli occhi degli altri. Mi rilassai completamente contro il suo petto, mentre lui mi abbracciava alla vita e io appoggiavo il capo sulla sua spalla. Voltai appena la testa e gli sorrisi e lui mi diede un rapido bacio sulle labbra.
Sentimmo un verso di disgusto e vedemmo le devil che facevano finta di vomitare, «per favore siamo devil evitate le smancerie», dissero in tono schifato.
«siete solo invidiose perché non siete innamorate, vedrete che quando sarà il momento farete peggio di noi», le canzonò Sulfus e tutti insieme scoppiammo a ridere.
In quel momento partì una canzone ottima per essere ballata in discoteca e tutti e sette guardammo verso Gas che ci salutò: era evidente che si stava divertendo un mondo.
Le devil subito si alzarono e si fiondarono in pista a scatenarsi. Uriè, Dolce e Miki aspettarono ma quando tre ragazzi si avvicinarono per chiedere loro di ballare, dopo un attimo di esitazione, accettarono e si diressero in pista. Io e Sulfus rimanemmo al tavolo per un po’ a coccolarci ma, ad un certo punto lui si alzò trascinandomi con sé.
«mi concedi questo ballo?», mi disse lui malizioso.
Io lo fissai sconcertata, «ma io non so ballare», gli dissi provando a dissuaderlo. Ma lui non fece una piega.
«è musica disco», mi fece notare lui, «non occorre saperla ballare. È istintiva» e detto questo mi trascinò in pista. Fu molto più facile di quello che mi aspettassi. I nostri corpi, sempre a contatto, si muovevano sensualmente insieme a ritmo di musica; per tutto il tempo che ballammo, non facemmo altro che stuzzicarci a vicenda, tanto che la mia eccitazione ben presto si fece sentire. Quando la canzone finì ero ormai al limite e voltandomi mi accorsi, dallo sguardo infuocato dei suoi occhi, che anche lui lo era. Questo mi fece enormemente piacere; era evidente che anche lui mi desiderava e quindi non sarebbe stato difficile raggiungere il mio obiettivo. Ma quello non era certo il momento perciò ci dirigemmo verso il tavolo, tentando di calmarci, e ci sedemmo esattamente come prima. Rimanemmo lì per un po’.
«uhm amore», lo chiamai stupendomi della parola che mi era uscita istintivamente. Lui mi guardò piacevolmente sorpreso e mi sorrise come non gli avevo mai visto fare abbagliandomi. Io sorrisi, felice che non gli dispiacesse, «amore che ne dici di andare a prendere qualcosa da bere? Ballare mi ha messo sete».
«certo tesoro andiamo», mi disse con voce dolce e io per poco non mi sciolsi sotto il suo sguardo ardente.
Ci alzammo e ci dirigemmo verso il bar dove ordinammo dei drink. Io presi qualcosa di analcolico, una bevanda al gusto di frutti di bosco, mentre lui un mohito con menta e limone, che a quanto sapevo era leggermente alcolico.
«uhm il tuo drink sembra buono me lo fai assaggiare?», mi chiese lui con sguardo malizioso.
«certo», gli dissi. Ma prima che potessi porgergli il bicchiere lui mi attirò a se e mi fece sentire il sapore delle sue labbra mentre lui assaporava le mie. Con un braccio, visto che l’altro teneva in mano il bicchiere, gli circondai il collo e mi aggrappai a lui, mentre lui mi teneva per la vita. Approfondimmo il bacio, che divenne molto passionale.
Sentimmo, di nuovo, delle risatine e vedemmo le ragazze davanti a noi che ci squadravano divertite, «oh ma insomma», disse Miki falsamente indignata, «è possibile che non passino cinque minuti senza che voi finiate avvinghiati?», chiese per poi scoppiare a ridere seguita a breve ruota da tutti.
«ridi ridi», la sbeffeggiai, «tanto vi ho viste con quegli affascinanti ragazzi», le dissi per vendicarmi. Tutte e tre arrossirono mentre le devil le prendevano in giro.
Dopo aver esaurito l’attacco di ridarella, fu Dolce a prendere la parola, «che ne dite di fare un salto al buffet? È da stamattina che non mangiamo e, non so voi, ma io sto morendo di fame».
Anche noi eravamo affamati perciò ci dirigemmo tutti al tavolo del buffet a prendere qualcosa: io e Sulfus prendemmo una fetta di torta in due, Cabiria e Kabalè optarono per un po’ di pasticcini assortiti, Uriè e Dolce presero un insalatona e Miki ripiegò su una coppa di gelato. Portammo tutto al tavolo e mangiammo, mentre io e Sulfus facevamo a gara come dei bambini per accaparrarci il boccone migliore, ridendo come dei matti.
Intanto mi accorsi degli sguardi che molti ragazzi lanciavano a Cabiria e Kabalè e solo allora mi resi conto che non avevo fatto caso a come erano vestite e ci prestai più attenzione. Mi resi conto che erano un vero schianto:Kabalè indossava un vestito viola acceso che si allacciava dietro al collo e si intrecciava sulla schiena, molto scollato e aderente e con uno spacco sulla gonna sul lato sinistro. Completava con stivaletti in pelle col tacco, calze nere a rete e delle retine che le avvolgevano gli avambracci; Cabiria invece aveva un vestito classico. Lungo fino a terra, blu elettrico e senza spalline, a cui aveva abbinato dei guanti bianchi e dei sandali col tacco, blu anch’essi. Aveva raccolto i capelli neri in una crocchia e aveva lasciato ricadere davanti i ciuffi violetti. Entrambe avevano il trucco molto marcato. Non ci voleva molto a capire che i ragazzi erano rimasti stregati da loro.
Notai però che, benchè molti ragazzi guardassero le mie amiche, che erano molto belle stasera, ancora di più guardavano me, nonostante fossi in braccio a Sulfus.
Dopo un po’ sbuffai infastidita e Sulfus sembrò leggermi nel pensiero, «non sai che darei per dargli un bel pugno sul naso, a tutti loro. E meno male che non ho la capacità di leggere nel pensiero, altrimenti avrei già fatto una strage. A giudicare da come ti guardano i loro pensieri non devono essere molto casti». Io arrossii come un peperone alle sue parole che, tutto sommato, rispecchiavano i miei sentimenti verso di lui. Lo sentii stringermi e lanciare occhiatacce a chiunque mi guardasse ma vedevo che era molto irritato.
All’improvviso mi guardò negli occhi. «che ne dici di andarcene? Io questi bellimbusti non li sopporto più e poi devo farti vedere una cosa», mi disse emozionato. Che tenero il mio gelosone. Ma aveva ragione, nemmeno io sopportavo più quegli sguardi fissi su di me.
Ci alzammo e guardammo le ragazze, che stavano finendo le loro porzioni. «noi ce ne andiamo, abbiamo voglia di stare un po’ da soli». Loro ci guardarono sorprese ma non obiettarono.
Mano nella mano risalimmo lo scalone e ci avviammo fuori. Mi voltai verso di lui in attesa, curiosa di sapere quale fosse la cosa che mi voleva far vedere.
Lui sorrise, capendo il mio pensiero e mi condusse fino all’aula sfida. Corrugai la fronte, «come mai siamo qui?», gli chiesi interrogativa. Non avevo idea di cosa volesse fare.
Lui ridacchiò senza rispondermi e, per tutta risposta, aprì la porta dell’aula sfida rivelando uno spettacolo che mi lasciò senza fiato: l’aula si era trasformata in una spiaggia tropicale al tramonto, come di quelle che vedi solo nei film romantici, con al centro un bellissimo gazebo dentro al quale troneggiava, maestoso, un pianoforte. Entrati, ci chiudemmo la porta alle spalle, isolandoci dal mondo. Guardai Sulfus commossa. «grazie non potevi farmi regalo più bello», gli dissi commossa abbracciandolo.
Ma lui, a sorpresa, scoppiò a ridere, «se ti piace questa, che è l’ambientazione, cosa farai quando ti darò il mio regalo vero e proprio?», mi disse incredulo.
Lo guardai stupefatta, « e cosa potrebbe essere migliore di questo?», gli chiesi sinceramente confusa. Lui si avvicinò al mio orecchio e mi sussurrò con voce sensuale, «forse questo». E subito mi trascinò con sé al gazebo e fu li che mi resi conto di una cosa: perché aveva fatto apparire anche un pianoforte?
«sediamoci», mi disse e mi trascinò con se sullo sgabello del piano. Lo guardai confusa; cosa aveva intenzione di fare?
Lui sorrise della mia confusione, «vedi ti ho portato qui perché voglio condividere con te uno dei miei segreti più segreti», mi spiegò guardandomi dolcemente, « e voglio farlo in modo speciale».
Lo vidi appoggiare le mani sui tasti e chiudere gli occhi per un momento. Poteva essere che…? Ma no, era impossibile! I devil non praticavano il pianoforte, era una cosa da angel.
Eppure non finii di formulare questo pensiero che Sulfus riaprii gli occhi e cominciò a suonare. Una melodia dolce e tenera, veloce in alcuni punti, delicata in altri. Lo guardai sbalordita; le sue dita volavano leggere sui tasti d’avorio, il suo sguardo concentrato mandava bagliori. Era una cosa indescrivibile, ancora più incredibile perché era lui a suonarla, lui che era un devil e che riusciva a suonare meglio della maggior parte dei pianisti angel. Le note si susseguivano armoniose e delicate, intrecciandosi in una melodia che toccava il cuore. La dolcezza che riversava nella canzone era qualcosa di magico, che arrivava dritto all’anima. Le note cominciarono a rallentare malinconiche verso quella che era la fine fino a spegnersi.
Lui si voltò verso di me e mi sorrise dolcemente. «Sulfus è… è stato…», solo quando cercai di parlare mi resi conto delle lacrime che uscivano copiose dai miei occhi per bagnarmi il viso.
Lui mi prese il viso fra le mani e mi asciugò le lacrime con i pollici, «ricorda per sempre questa canzone Raf, perché sei stata tu a ispirarmela. Io sono come quella melodia: senza di te, la mia musa, la mia aria, la mia vita, non riuscirei a vivere. E io senza di te non esisto. Ti amo Raf, perché sei il mio sole, la mia luce, la mia fonte di vita».
Quella canzone l’aveva scritta per me? Oh Sulfus… e quelle parole mi avevano toccato nel profondo. Senza riuscire a trattenermi, saltai al suo collo e scoppiai a piangere, commossa dalla sua dolcezza, dal suo amore. Lui mi strinse forte a se seppellendo il viso nell’incavo del mio collo, «Raf amore mio, non piangere», continuava a ripetermi cercando di calmarmi, ma le mie erano lacrime di gioia.
Alzai il viso per incrociare i suoi occhi, «oh Sulfus non potevi fare una cosa più stupenda di questa. Grazie, grazie, grazie infinite. Ti amo» e detto questo lo baciai, un bacio dolce e entusiasta. Lui rispose subito e, ben presto, ci ritrovammo senza fiato.
Ci staccammo e lui mi guardò felice, «no grazie a te di aver scelto me» e ci baciammo di nuovo.
«non mi avevi detto di saper suonare il pianoforte», gli dissi cercando di regolarizzare il respiro, ancora scombussolato dal bacio e dal pianto.
«beh sai com’è, non è proprio una cosa da devil», mi disse lui imbarazzato, «sai altrimenti che risate si sarebbero fatte gli altri? Ma sapevo che tu lo avresti accettato perciò ho voluto condividerlo con te». Che tesoro! Lo amavo sempre di più ogni minuto che passava.
Non dissi niente e mi limitai ad abbracciarlo, mentre anche lui mi stringeva a se e affondava il viso fra i miei capelli. Era stato così dolce e premuroso; era il ragazzo perfetto. Come potevo lasciarlo e andarmene? Avremmo potuto avere una vita felice insieme, forse con difficoltà, ma ce l’avremmo fatta. Ma non potevo restare, era troppo pericoloso per lui e per gli altri. Mi sarebbe mancato da morire, soprattutto perché ora sapevo con esattezza a cosa stavo rinunciando, cosa stavo rifiutando, per sempre. Il dolore mi mozzò il respiro e mi fece scendere una lacrima, una sola, sul viso. Scossi la testa, imponendomi di non pensarci, non in quel momento.
Lui si staccò e mi asciugò con i pollici le lacrime. «sai il cristallo è un materiale che mi è sempre piaciuto», mi disse lui enigmatico. Io aggrottai la fronte; dove voleva arrivare? «una cosa pura, preziosa e luminosa ma che, all’occorrenza, sa essere più pericolosa del vetro. E lo amo ancora di più perché è il colore dei tuoi occhi, che brillano solo per me», mi spiegò fissandomi negli occhi. Oh Sulfus, non mi dire queste cose ora. Altrimenti separarci sarà ancora più difficile di quanto non lo sia adesso. Se pensavo che, una volta uscita da quest’aula sarei dovuta tornare alla realtà e andarmene, provavo talmente tanto dolore che mi sembrava di svenire.
Nascosi l’agonia dai miei occhi per evitare che lui la vedesse e capisse qualcosa.
All’improvviso lui si alzò e mi tirò con se, «mi concedi questo ballo?», mi chiese per la seconda volta quella sera.
«ma non c’è nemmeno la musica», gli dissi io divertita.
«e chi ha bisogno della musica?», mi disse lui con sguardo dolce porgendomi una mano. Io l’afferrai titubante e lui mi attirò a se, una mano sul mio fianco e una sulla mia. Cominciammo a muoverci sulle note di una canzone che non c’era, lentamente, in circolo, e all’improvviso mi venne in mente la canzone così vicini di come d’incanto, uno dei miei film preferiti, che esprimeva esattamente il mio stato d’animo. E all’improvviso il pianoforte sparì e, dal nulla, partì una canzone, la canzone a cui stavo pensando. Io e Sulfus ci guardammo stupiti e, sorridendo, continuammo a ballare sulle note di quella melodia bellissima e al contempo triste, che mi riportava alla mente ciò che stavo cercando con tutte le mie forze di reprimere.
Quando la canzone finì Sulfus mi strinse più forte a se, «se penso che domani a quest’ora saremo a chilometri di distanza…», cominciò ma io lo bloccai poggiandogli delicatamente le punte delle dita sulle labbra. Sapevo che per lui avevano un significato diverso ma per me erano fin troppo dolorose.
«non pensiamo a questo, non stasera», gli dissi dolcemente e lui mi attirò a se in un bacio pieno di dolcezza. All’inizio il bacio era tenero, casto, ma non ci mise molto a diventare passionale come il fuoco. Ci stringemmo l’una all’altro con foga, approfondendo il bacio in un modo che non ci eravamo mai concessi. Sospirai quando sentii la sua mano alzare il tessuto del vestito e posarsi sulla mia coscia, stringendo avida.
«accidenti quanto ti voglio», mi sussurrò roco lui in uno dei rari momenti in cui le nostre labbra si separavano e io scoppiai internamente dal caldo e dal desiderio. Lo volevo, lo volevo con tutta me stessa.
Eravamo praticamente al punto di non ritorno quando sentimmo una fanfara. Ci guardammo sbalorditi e scocciati per l’interruzione. Ma era mai possibile che ogni volta che ci trovavamo in quella situazione, qualcosa dovesse per forza interromperci?
Poi realizzammo che quella era la fanfara del coprifuoco e che, a rigor di logica, saremmo dovuti essere già in camera perché i professori sarebbero passati di lì a un minuto per fare l’ispezione.
Ci guardammo terrorizzati e uscimmo di corsa dall’aula sfida. «non ce la faremo mai a tornare in tempo», gli dissi.
«scommetti?», disse lui e si infilò nel passaggio in cui ci eravamo fermati la mattina. Percorse fino in fondo il corridoio e cominciò a salire gli scalini alla fine di quest’ultimo.
«devi sapere che ho scoperto questo passaggio un po’ di tempo fa. È tutta una scalinata che collega sognatorio e incubatorio», mi spiegò.
«cioè vuoi dire che, volendo, un angel potrebbe andare all’incubatorio senza essere visto e viceversa?», gli chiesi incredula.
«esattamente», sorrise lui con fare cospiratorio. Oddio chissà quante volte era venuto nella mia stanza a mia insaputa.
Arrivammo a una porta chiusa. Mi si strinse il cuore; la favola era finita, era ora di tornare al mondo reale. Presto ci saremmo separati e non l’avrei rivisto mai più, ne lui, ne nessun altro. Il solo pensiero mi fece quasi morire.
Lui socchiuse la porta e sbirciò fuori, «bene è tutto tranquillo, puoi andare», ma quando si voltò verso di me si bloccò all’improvviso.
«Raf stai piangendo», mi disse angosciato. Io mi portai una mano al viso e solo allora mi accorsi che lacrime copiose mi scorrevano rapide sulle guance. Mi strinse in un abbraccio tenero e delicato, di conforto, mentre io, senza riuscire a trattenermi, singhiozzavo sulla sua spalla. Intensificò la presa, cullandomi fra le braccia.
«scusa è che… pensavo a domani», gli dissi fra i singhiozzi. Lui non potè impedirsi di trasalire e stringere ancora di più la presa.
«ce la faremo Raf. Insieme, in un modo o nell’altro, ce la faremo», mi disse per confortarmi guardandomi negli occhi.
Io annuii consapevole che le sue parole, anche se lui non lo sapeva, non si sarebbero mai avverate. Per proteggerli da Reina, avevo preso la decisione più difficile della mia vita; andarmene in gran segreto, far perdere le mie tracce, sparire dalla circolazione. Nessuno avrebbe saputo dove mi trovassi dopo la mia partenza, sarei sparita dalla faccia della terra. Avrei interrotto i contatti con tutti, nessuno escluso: Sulfus, le mie amiche, i miei professori, la mia famiglia… nessuno saprà dove io mi nasconderò. A dire il vero non lo sapevo nemmeno io, sapevo solo che dovevo andarmene il più lontano possibile da lì, nella speranza che così sarebbero stati tutti al sicuro. Ma non potevo evitare di soffrire; anzi, la separazione faceva ancora più male perché sapevo che anche tutte le persone a cui volevo bene avrebbero sofferto con me, Sulfus più di tutte. E sapevo anche che non potevo fare niente per impedirlo.
Ma cercai di nascondere tutto questo dai miei occhi, prima che lui potesse capire qualcosa. Cercai di sorridere come meglio potevo, «lo so amore mio, lo so». Lui sembrò crederci.
In un momento carico di tensione ci avvicinammo e facemmo unire le nostre labbra. Mai un bacio fu più desiderato di quello; ci stringemmo l’una all’altro come degli assetati che bevevano dell’acqua dopo una camminata nel deserto. Approfondimmo con passione il bacio, desiderando che non finisse mai.
A malincuore, fui io staccarmi per prima, «devo andare, non posso tardare al coprifuoco», gli dissi triste. Lui mi fissò rassegnato: loro sarebbero partiti la mattina seguente circa alle dieci, perciò, a rigor di logica, non ci saremmo più visti.
Mi guardò ardendo, «ti amo Raf», mi disse a un soffio dalle mie labbra.
Mi strinsi ancora di più a lui, «anch’io ti amo Sulfus. Anche quando saremo lontani non dubitarne mai». Non potei resistere da dire quelle parole ad alta voce. Volevo che lui sapesse che l’avrei amato per sempre, nonostante tutto. Nessuno avrebbe mai preso il suo posto nel mio cuore, avrebbe sempre battuto solo per lui. Per fortuna quelle parole poteva interpretarle in un’altra maniera.
Dopo un ultimo e rapido bacio ci staccammo e, aperta la porta, che poi si rivelò essere uno dei quadri di storia angelica appesi in corridoio, mi fiondai in camera, che trovai stranamente vuota. Aggrottai la fronte; dov’era Uriè?
Feci appena in tempo a richiudere la porta che il professor Arkhan entrò in camera per l’ispezione, «ah Raf buonasera, ero solo venuto a controllare», mi disse, facendo per andare fuori, «ah Uriè mi ha detto di dirti che hanno fatto un party in camera di Miki e Dolce e, solo per questa volta, ci saranno anche le devil. Mi ha detto di chiederti se volevi unirti a loro».
Avrei voluto ma non ero dell’umore adatto per queste cose, inoltre questa cosa giocava a mio favore per poter preparare la mia fuga senza interferenze. Con camera libera avrei potuto fare tutto tranquillamente. Inoltre volevo stare un po’ da sola a crogiolarmi nel mio dolore.
«no professore, sono molto stanca. Credo che andrò direttamente a dormire», gli dissi cercando di fare la faccia più assonnata possibile.
«d’accordo Raf, allora buonanotte», mi disse e uscì. Io sospirai e mi buttai sul letto, mentre l’agonia mi avvolgeva di nuovo. Non avrei potuto nemmeno salutarle.
Sentii un ronzio e Cox mi si posò sulla testa. Volevo che almeno lui salutasse le sue amiche mascotte perciò gli dissi, «vai al pigiama party con le ragazze e divertiti con le altre mascotte. Digli che io ero stanca e non sarei venuta d’accordo?». Lei mi guardò triste, sapeva cosa sarebbe successo la mattina dopo, e svolazzò via. La mia mascotte sarebbe venuta con me perché avevo bisogno di trasformarmi in terrena nella mia fuga.
Mi alzai e me ne andai in bagno. Mi struccai e mi lavai il viso, tolsi vestito e tacchi e misi i gioielli sopra al comò, tranne il ciondolo di Sulfus. Finalmente libera dal vestito e pulita, presi la sottoveste di pizzo e me la infilai.
Ora era il momento di organizzare la fuga. Presi il mio trolley e lo aprii; ci misi dentro tutti i vestiti e la biancheria che ci poteva stare, la trousse da bagno, un altro paio di scarpe, il mio diario, il portafogli con tutti i soldi terreni, e da ultimo, ma non meno importante del resto, il mio computer portatile con tutti gli accessori. Mouse, caricatore e scheda per la connessione internet.
Guardai la roba che mi ero messa quella sera: sapevo che non avrei avuto più occasione di mettermeli, ma mi resi conto che non potevo lasciarli indietro, perché erano il simbolo della più bella serata della mia vita. Perciò, con un sospiro, presi e misi tutto in valigia.
Ora mancava solo un’ultima cosa, che si trovava nella biblioteca universale. Mi misi maglietta e pantaloncini sopra la biancheria e sgattaiolai fuori dalla stanza verso la biblioteca. A quell’ora la biblioteca era chiusa e inaccessibile ma avevo ideato un piano che speravo funzionasse. Arrivata alla porta della biblioteca senza intoppi per fortuna, mormorai «Think fly!» e mi concentrai. Sapevo che oltre ai poteri telepatici avevo anche quelli telecinetici, cioè la capacità di muovere gli oggetti, ma non li avevo mai usati perché mi costavano molta fatica. Ora mi concentrai e tesi la mano verso la serratura, muovendo i meccanismi al suo interno per sbloccarla. Un click rassicurante mi fece capire che c’ero riuscita. Sorrisi ed entrai nella biblioteca, chiudendomi la porta alle spalle. Ero buio pesto perciò mormorai, «Inflame!» e una palla di fuoco levitò sulla mia mano, rischiarando l’ambiente. Cominciai a percorrere i corridoi della biblioteca fino ad arrivare al banco dove di solito sedevano i bibliotecari. Mi avvicinai all’ultimo cassetto e, dopo un’altra dose di telecinesi, lo spalancai. Rimasi sorpresa; era vuoto, dov’era finito? Secondo le mie informazioni, avrebbe dovuto essere lì. Poi mi venne un’illuminazione. Cautamente cercai di sollevare il fondo del cassetto e, dopo un po’ di tentativi, ci riuscii. E finalmente esultai; il dischetto era lì.
Infatti i bibliotecari avevano inciso su un disco magico, quindi a capienza illimitata, tutti i libri della biblioteca universale. Così nel caso dei volumi fossero stati smarriti o distrutti, grazie al dischetto non se ne sarebbero persi i testi. Lo presi e lo misi in tasca; sapevo che non era giusto ma avevo bisogno dei manuali di combattimento per aumentare i miei poteri, visto che Reina aveva promesso vendetta, e non potevo certo portarmi dietro tutti i libri della biblioteca universale. Quella era di sicuro la soluzione più pratica.
Richiusi il cassetto e me ne andai in fretta. Ritornai in camera e tirai un sospiro di sollievo. Misi il disco dentro alla valigia e mi tolsi i vestiti, rimanendo in sottoveste e biancheria. Ora dovevo fare solo un’ultima cosa, che sapevo sbagliata, ma che era il mio ultimo desiderio prima di andarmene.
Presi un bel respiro, improvvisamente mi sentivo le gambe molli. Ma sapevo quello che volevo perciò determinata uscii dalla camera e mi fiondai, non vista, al passaggio. Mi ci fiondai dentro e, con il cuore in gola, cominciai a scendere le scale. Le scesi fino in fondo e arrivata a una parete, mi fermai. E adesso come facevo a uscire? Non ero arrivata fino a lì per farmi fermare da una parete.
Irritata, diedi una manata al muro e, nel farlo, premetti un mattone che lo fece spostare. Esultai. Misi fuori la testa dal passaggio e controllai che non ci fosse nessuno, e quando riconobbi il corridoio esultai; la porta davanti a me era proprio quella di Sulfus.
Uscii rapida ed entrai senza far rumore nella stanza. Sulfus era seduto sul letto e mi dava le spalle, mentre guardava fuori la luna. Indossava solo dei boxer neri e la luce pallida della luna che entrava dalla finestra metteva in risalto i suoi fantastici muscoli. Rimasi lì a fissarlo incantata per qualche minuto fino a quando lui sospirò. Chissà se stava pensando a me.
Senza far rumore, cosa agevolata dal fatto che non avevo scarpe ai piedi, salii sul letto e lo abbracciai da dietro, appoggiando la testa nell’incavo del collo.
Lui sussultò e si voltò, sorpreso, «Raf cosa…», cominciò ma non continuò. Probabilmente voleva anche lui trascorrere con me la sua ultima sera. Si voltò completamente e mi fece sedere sulle sue gambe, abbracciandomi forte, mentre io lo circondavo con le braccia all’altezza del collo e, istintivamente, stringevo le gambe intorno alla sua vita. Trasalì e percorse con lo sguardo il mio corpo, coperto solo dalla biancheria.
«tu vuoi farmi impazzire, angioletto», mi sussurrò con voce roca, gli occhi di oro fuso. E io scoppiai internamente dal caldo. Non c’era imbarazzo in quel momento, eravamo troppo presi l’una dall’altro.
Con lentezza esasperante i nostri volti si avvicinarono e, finalmente, unimmo le nostre labbra in un bacio che di casto non aveva proprio niente. Come una miccia che prende fuoco e divampa, la nostra passione esplose tutta insieme. Troppo a lungo repressa, ci divorava l’anima e ci spingeva dove non ci eravamo mai spinti.
Senza sapere come, ci ritrovammo stesi sul letto, lui sopra di me, sempre avvinghiati, le nostre mani che esploravano il corpo dell’altro, facendoci ansimare.
Quando arrivò alla camicetta cominciò a levarla ma si bloccò all’improvviso «Raf sei sicura? Non si torna indietro», mi sussurrò eccitato. Ma io sentivo che non si voleva fermare, che lo voleva tanto quanto me.
Io annuii e lui rapidamente mi tolse la camicetta, incollando le sue labbra alle mie. E finalmente lì, su quel letto, la nostra passione troppo a lungo repressa ebbe libero sfogo. Ci amammo con passione e dolcezza, con ardore e tenerezza e, come inconsciamente volevamo da tempo, sentimmo il piacere dilagare in noi, appagandoci. E quando, esausti, ci addormentammo l’una fra le braccia dell’altro, non potemmo fare a meno di sorridere, felici perché finalmente sentivamo di appartenerci completamente. Non sapevo ancora che quella notte avrebbe cambiato per sempre le nostre vite.
Un pallido raggio di sole mi risvegliò la mattina dopo. Fra le braccia di Sulfus, stesa sul suo petto, mi sentivo rilassata come non mai. Per pochissimo tempo ebbi l’illusione che tutto fosse al suo posto. Ma poi l’amara realtà mi costrinse a ritornare con i piedi per terra. Guardai fuori dalla finestra e sospirai; era giunto il momento. Il dolore mi mozzò il respiro.
Facendo attenzione a non svegliarlo, mi districai dal suo abbraccio e mi alzai. Lo guardai dormire; il ricordo di quella notte mi sarebbe rimasta per sempre nella mente, l’avrei custodita come il più prezioso dei tesori.
Mi voltai per evitare di scoppiare a piangere, e cominciai a rivestirmi. Presi il ciondolo che mi aveva regalato fra le mani e lo strinsi come se fosse un talismano contro il dolore.
Poi mi avvicinai al cassetto e presi un foglio e una penna. Cominciai a scrivere:
Caro Sulfus,
amore mio perdonami se me ne vado così, ma proprio non vedevo altra soluzione. Sapevo che se ti avessi detto cosa avevo intenzione di fare non me lo avresti mai permesso e avresti cercato di impedirmi di partire, e io non ce l’avrei mai fatta a salutarti. Devo andarmene Sulfus, non posso fare altrimenti. Non posso spiegarti cosa mi ha spinto a prendere questa terribile decisione, posso solo dirti che è per il bene di tutti che lo faccio e che un giorno mi ringrazierai.
Non riesco nemmeno a spiegarti il dolore che provo lasciando te e tutti gli altri, ma se penso a cosa potrebbe succedere se restassi, capisco che è la cosa giusta.
Questa è stata la notte più bella della mia vita, grazie per aver esaudito l’unico desiderio che mi rimaneva. E lo so che non ne ho diritto ma ti prego, promettimi che ricomincerai da capo, che ti lascerai tutto alle spalle e che continuerai a vivere la tua vita. Lo so, ti chiedo tanto, ma noi non ci rivedremo mai più e non riuscirei a vivere con la consapevolezza che anche tu non ci riesci. Perciò, per favore, prova a dimenticarmi.
Grazie per aver portato luce nella mia esistenza, per avermi fatto sentire amata e speciale e per aver riempito le mie giornate con il tuo amore. Sappi che comunque nessuno prenderà mai il tuo posto nel mio cuore, apparterrà per sempre a te, perciò prenditene cura perché te lo affido.
Saluta le ragazze da parte mia, io non ho potuto. Me ne vado con la morte nel cuore Sulfus, ma con la consapevolezza che è la cosa giusta. E per favore, non cercatemi.
Ti amerò per sempre,
Raf.
Finito di scrivere, riposi la lettera in una busta e la poggia sul comodino di Sulfus. Con la consapevolezza che quella era l’ultima volta che lo avrei visto, lo fissai per un momento eterno e poi, con la morte nel cuore. Mi voltai e uscii dalla stanza.
Controllando che non ci fosse nessuno, feci a ritroso tutto il percorso e risalii fino al sognatorio e rientrai in camera, le lacrime che premevano per uscire dai miei occhi. Non ancora Raf, mi dissi, devi prima portare a termine il tuo compito.
Era vero, perciò mi feci forza. Presi i vestiti che avevo preparato la sera prima e mi cambiai. Poi riposi il completo, unico testimone della mia notte d’amore con Sulfus, nel trolley.
Quando lo richiusi, sentii un ronzio e vidi Cox arrivare svolazzando. Ma fu quello che vidi dietro di lei a sorprendermi. Tutte le mascotte si erano radunate sul mio letto: Lampo di Uriè, Butterfly di Dolce, Lula di Miki, Gracida di Gas, Arakno di Cabiria, Nosferatu di Kabalè e Basilisco di Sulfus. Li guardai confusa; cosa ci facevano tutti qui?
Poi capii; Cox li aveva chiamati così, una volta partita, avrebbero potuto far vedere ai ragazzi la mia immagine.
Mi inginocchiai di fianco al letto e aprii le braccia. Le mascotte, con un mugolio di dolore, ci si fiondarono e io le abbracciai tutte. «dite agli altri che mi mancheranno da morire», dissi loro con la voce rotta dal pianto, «e che gli vorrò sempre un mondo di bene. E di perdonarmi se potranno».
Poi mi staccai e presi direttamente Basilisco in mano. Lui mi guardò intelligente e dispiaciuto, sapeva quanto Sulfus tenesse a me. «e tu di a Sulfus che lo amo, d’accordo?», gli dissi straziata. Lui con un sibilo annuì e strofinò la testa in un muto segno di conforto. Lo rimisi giù e guardai le mascotte un’ultima volta e vidi che erano tutte tristi e piangevano. Io sorrisi triste a tutte loro e feci nascondere Cox nella cintura. Poi presi il trolley e mi avviai.
Facendo attenzione a non farmi vedere da nessuno, uscii dalla scuola e mi avviai in strada. In un luogo appartato, mi trasformai in terrena, e mi mischiai ai pochi passanti che erano in strada a quell’ora del mattino.
Guardai un’ultima volta la scuola, il cuore stretto in una morsa di agonia, anche se sapevo che era la cosa giusta. Voltai le spalle all’edificio e mi allontanai senza mai voltarmi indietro. Finalmente libera di farlo, piansi tutte le mie lacrime.
NARRATORE: tuttavia nessuno sapeva che, in una landa di ghiaccio sperduta, un uomo, in una casa diroccata, osservava la nostra angel sparire alla sua visuale.
Tuttavia la cosa non lo turbò e un ghigno malefico spuntò sul suo volto, «scappa, scappa pure Raf, ma un giorno io ti troverò e allora rimpiangerai di tutto il male che hai fatto alla mia famiglia. Vedremo chi la spunterà!», e con una risata da far venire i brividi, suggellò la sua terribile promessa.
Lo so, in alcuni punti è molto criptico (soprattutto alla fine) ma il nemico che trama nell'ombra è qualcuno vicino a qualcuno che conosciamo già ^^ sono aperte le scommesse ^^ al prossimo chappy
cioè, spiega: crei un blog dove pubblichi la storia e non mi dici nientee??? mi reputo offesa! XD ho letto di nuovo i capitoli nonostante li sappia a memoria e aggiungo che sto controllando il blog tutti i giorni sperando nei nuovi capitoli :))) ci si sentee ciaoo!!
RispondiEliminaahahahah tesoro perdonami!!! XD ho creato il blog per mettere anche le altre storie che sto scrivendo, anzi devo proprio pubblicare il prologo di una storia su tema Vampire diaries!!! comunque sono felice che mi segui anche qui... il capitolo nuovo in generale non credo arriverà presto perchè quest'anno ho l'esame di stato che mi sta veramente succhiando l'anima... comunque sai quale sarà l'argomento della mia tesina??? i VAMPIRI XDXDXD ciao tesoro a presto!!! kiss kiss
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